La Norma di Maria

 di Emanuele Dominioni


Nel mini festival dedicato all'opera italiana dal Regio di Torino in occasione dell'Expo, risplende la Norma interpretata da Maria Agresta, con la smagliante concertazione di Roberto Abbado.

TORINO, 22 luglio 2015 - Nell'elegante cornice del Teatro Regio torinese ritorna la tragedia di Norma in occasione della stagione estiva approntata appositamente per Expo che rispolvera titoli e produzioni fra le più celebri viste negli ultimi anni proprio qui in terra Sabauda, come Il barbiere di Siviglia, La traviata e La bohème. Fra queste Norma è senza dubbio lo scoglio più arduo da molti punti di vista e soprattutto nell'obiettivo di approntare una compagnia di canto all'altezza delle aspettative.

La ripresa curata da Vittorio Borrelli dell'allestimento firmato da Alberto Fassini,  con scene di William Orlandi, offre senza dubbio delle sicurezze dal punto di vista visivo ed estetico, nel solco di una polverosa ma ben rodata tradizione scenico\iconica dell'opera. D'altro canto la staticità dell'azione unita a una certa macchinosità dei movimenti hanno riportato alla memoria echi di scenari e dinamiche attoriali anni '50, che se non altro si pongono in linea con la grande tradizione scenografico\registica nostrana che il festival vuole celebrare.
Suggestivi sono parsi invero alcuni tableaux come quello durante "Casta diva" o il finale ultimo (dall'entrata impetuosa del coro  "Guerra! Guerra!", sino al sacrificio dei due protagonisti). Meno altri quadri, vedasi i duetti del primo atto davvero poco caratterizzati anche sul piano attoriale, o le due scene di Oroveso col coro.

Sul fronte musicale l'attenta e vibrante bacchetta di Roberto Abbado ha saputo valorizzare appieno la sofferta drammaturgia belliniana, regalandoci momenti di grande coinvolgimento emotivo, impreziositi da vibranti sonorità adamantine. La sua lettura, lungi dal pesante sinfonismo di altre bacchette che hanno frequentato questo repertorio, è attentissima alle esigenze del canto e maestra nel concertare dinamiche e colori. I momenti migliori in questo senso sono stati senza dubbio il finale ultimo e il duetto del secondo atto fra Norma e Adalgisa. Vengono mantenuti i tagli di tradizione, scelta quest'ultima un po' anacronistica ma che si sposa perfettamente con questo tipo di taglio registico.

Nel languido incedere delle eterne melodie belliniane lo smagliante lirismo che emerge dalla linea vocale dei protagonisti caratterizza in modo indissolubile la loro stessa natura.

Vera trionfatrice della serata è stata, in questo senso, Maria Agresta. Voce che al momento possiamo tranquillamente annoverare come la migliore nel panorama sopranile italiano per talento, qualità e duttilità di repertorio. Ella si accosta al temuto personaggio di Norma con grande professionalità e sicurezza.
Fin dalla sua entrata le frasi del recitativo sono scolpite da sonorità rotonde e coperte che non ne mettono in pericolo l'intonazione o l'emissione ma anzi ne valorizzano la verità drammatica. Nelle scene successive la linea di canto rimane immacolata e sicura anche nei sovracuti aggiunti nel finale primo o al termine del duetto con Pollione. Unico neo e' forse una mancanza di un certo qual peso vocale che si sarebbe abituati ad ascoltare specie nelle pagine più drammatiche della partitura, che la Agresta ha saputo però rendere appieno con un fraseggio partecipe e una mobilità di accento davvero lodevoli.

Accanto a lei segnaliamo un parterre di voci di grande spessore ed esperienza.  Veronica Simeoni, come Adalgisa, si pone ormai come specialista del ruolo della sacerdotessa sedotta, sia per vocalità sia per padronanza scenica. La voce è generosa e perfettamente a suo agio nei momenti di maggior lirismo come in quelli più concitati del terzetto del primo atto.
Notevole anche la prova di Roberto Aronica, che ritroviamo qui in grande spolvero. La voce  del tenore laziale è segnata da uno squillo e una proiezione pressoché unici nel panorama tenorile odierno (escludiamo Kunde e pochi altri). Il timbro eroico, poi, lo ha oltremodo aiutato nel delineare una figura di proconsole romano aristocratico e virile. Il fraseggio e l'interprete non sono sempre all'altezza dello strumento vocale, ma efficienti anche nella loro parziale genericità espressiva.
Riccardo Zanellato è un Oroveso dotato di presenza scenica possente e carattere ben scolpito. La linea di canto è, però, sovente monotona e lungi dal ricercare dinamiche e colori che si allontanino da un forte costante e una cavernosità eccessiva.
Buone sono invece le prove di Andrea Giovannini come Flavio e Samantha Korbey come Clotilde. Lo stesso dicasi per l'ottima performance del coro del Teatro Regio di Torino.

Foto Ramella Giannese