2015, Odissea nel Fidelio

 di Luis Gutierrez

Una splendida esecuzione musicale diretta da Franz–Welser Möst con il Florestan grandioso di Jonas Kaufmann corrisponde, purtroppo, a una messa in scena arbitraria e astrusa di Claus Guth.

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SALISBURGO, 16 agosto 2015 - Fidelio è un'opera con la quale normalmente incontro problemi. La sua forma di singspiel in cui si mescolano temi bassi ed elevati non mi ha mai attratto, specialmente nella prima metà del primo atto, dopo di che la musica magistrale di Beethoven riesce a riscattare un argomento piuttosto debole. Devo dire che, a mio parere, il compositore non brilla per la musica teatrale in generale, come dimostra l'interminabile finale dell'opera, che non si può risolvere come invece le sue opere di musica astratta.

Il regista, Claus Guth, ha deciso di eliminare i dialoghi parlati e di inventare due nuovi personaggi, le ombre di Leonore e Pizarro. Quella di Leonore starà in scena praticamente durante tutta l'opera, raccontando con il linguaggio dei segni i sentimenti della donna; non ho capito cosa facesse quella di Pizarro.

La scenografia, disegnata da Christian Schmidt, è costituita da un grande spazio triangolare nel quale un monolito nero, simile a quello del film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, sale, scende o gira, seguendo, in generale, l'ordine dei numeri musicali. Gli stessi numeri sembrano in molti casi emergere dal nulla, spogliati di significato senza l'introduzione dei dialoghi che non erano graditi a Guth. I costumi, pure opera di Schmidt, sono contemporanei. Le luci di Olaf Freese sono coerenti con il senso (o il nonsenso) dell'allestimento. Il signor Guth ha ritenuto opportuno riempire lo spazio con i movimenti del monolito nero e la mancanza dei dialoghi con rumori “disegnati” da Torsten Ottersberg, che includevano mormorii, rantoli, urla, catene trascinate e un suono acutissimo che ricordava la musica di Ligeti sempre nella pellicola di Kubrick.

Come era da aspettarsi, la prima scena del secondo atto si svolge senza monolito, poiché questo si ritrae lasciando spazio a quella che pare una fossa di cimitero, che Rocco e Fidelio sembrano scavare. Nel finale Don Fernando entra in scena, mentre il coro si intende solo atraverso le pareti e, naturalmente, si evita la lieta presenza della moltitudine che circonda Leonore e Florestan.

Dal punto di vista musicale, le cose sono andate molto meglio. Jonas Kaufmann è stato un grandioso Florestan tanto vocalmente quanto come attore – non ne sono certo, ma ho sentito che Florestan morirebbe nel finale dell'opera in uesta produzione.

Adrianne Pieczonka è stata un'adeguata Leonore – e probabilmente, se non avesse avuto l'ombra, sarebbe stata anche migliore –, Tomasz Konieczny ha cantato un buon Pizarro, per quanto incapace di rendere la malvagità che rappresenta; Hans–Peter König come Rocco, Olga Bezsmertna come Marzelline, Norbert Ernst come Jaquino e Sebastian Holecek come Don Fernando sono cantanti assai buoni che, sicuramente, potrebbero fornire prove migliori, per quanto questo non fosse male, in un'altra produzione.

Hanno brillato Daniel Lökös e Jens Musger nei panni dei due prigionieri. Il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor ha offerto una performance spettacolare tanto nella scena dei prigionieri quanto nel finale.

Raramente mi capita di scrivere recensioni sbilanciate come la presente – dedicando molto più spazio alla produzione, messa in scena dicono gli intenditori, che alla resa musicale –, lo faccio ora coscientemente dato che poche volte ho visto un'opera così deformata da convincermi che se qualcuno avesse assistito allo spettacolo senza conoscerla già, non avrà idea, alla fine della recita, di cosa sia il Fidelio.

Nonostante quanto detto, anche il prezzo del biglietto più caro sarà stato ripagato, fra le due scene del secondo atto, quando Franz–Welser Möst e i Wiener Philharmoniker hanno inondato la Grosses Festpielhaus con una interpretazione indimenticabile dell'ouverture Leonore III. Anche ora, mentre scrivo, sento la pelle d'oca sulle braccia per l'emozione del ricordo. Spero di poter sentire, in quel che resta della mia vita, ancora due o tre esecuzioni come questa. Beethoven nella sua massima emozione, passione e perfezione.

© Salzburger Festspiele / Monika Rittershaus