Libertà d'emozione

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

Partecipata e commuovente La bohème alla Wiener Staatsoper nel collaudato allestimento di Franco Zeffirelli. Sul podio il sempre affidabile Marco Armiliato, nel cast brilla Aida Garifullina, Musetta, accanto alla coinvolgente coppia formata da un ottimo Piero Pretti, Rodolfo, e dalla struggente Mimì di Marita Sølberg. La recita è preceduta da una sentita dedica alla tragedia che ha colpito quella stessa Parigi, scintillante cornice del dramma pucciniano.

VIENNA 15 novembre 2015 - Quello fra Vienna e Versailles fu un dualismo che infiammò l'Europa sino alla fine del 1800, inteso come “secolo lungo”. In questi giorni l'ex capitale austro-ungarica si è stretta ai nemici d'un tempo e amici di oggi. Fra la Wiener Staatsoper e il Belvedere si trova l'elegante palazzo sede dell'ambasciata parigina: fiori, lumini, messaggi di solidarietà del popolo viennese sono lì a testimoniare come si sia stati capaci, fra le due capitali, di andar oltre un conflitto mondiale (parliamo della Grande Guerra) di cui si celebrava il termine appena pochi giorni avanti. La Staatsoper resta un teatro legato, in qualche maniera, alla Francia, anche considerato che il sovrintendente, Dominique Meyer, ebbe i natali in Alsazia, quella terra lungamente contesa fra le forze della Triplice Alleanza e quelle della Triplice Intesa. In teatro nazionale viennese non poteva esimersi dal ricordo e una rappresentante delle maestranze è uscita in proscenio, invitando, dopo la lettura d'un breve messaggio di comune cordoglio, tutti i presenti ad alzarsi in piedi, in segno di omaggio alle vittime degli attacchi del 13 novembre.

Un segno del destino che l'opera a cui abbiamo assistito fosse La bohème: dramma di amore e morte ambientato proprio nella capitale francese. L'ormai nota regia di Zeffirelli rimane uno degli spettacoli più riusciti del regista italiano, il quale, tuttavia, mal resiste all'istinto di inserire numerose comparse nella scena di caffè Momus, generando una confusione che fa perdere il fuoco visivo dagli effettivi protagonisti. Il primo quadro è ambientato in una soffitta dalle pareti malmesse, a causa dell'umidità e gli elementi scenici sono rispettosi del libretto, se non fosse per l'ambientazione dell'opera successivo al citato 1830, anche se precedente all'epoca di composizione (1896); indicativamente potremmo trovarci negli anni '70 del XIX secolo. I movimenti registici sono ridotti al minimo, con qualche buono spunto. Questa non è una scelta errata, poiché La bohème resta un'opera di sentimento, ma il fermento è nell'anima, più che nella fisicità. Forse troppo poca malizia dopo il meraviglioso duetto “O soave fanciulla”, con i protagonisti immediatamente pronti, con sciarpe e cappotti. Rodolfo ha trovato la poesia, ma è molto più coinvolgente pensar alle “dolcezze estreme” in senso generale. D'altra parte siamo fatti di carne, oltre che di spirito.

Secondo quadro, come detto, con comparse in qualsiasi angolo a disposizione, il locale desiato dagli studenti a occupare tutta la scena, perciò - per gli esterni - si è costretto a sovrapporre due ambienti, con conseguente schiacciamento dell'impatto visivo. Terzo quadro in pieno stile tradizionale con una bella interazione fra i personaggi nel quartetto. Quarto quadro in linea con il precedente: il letto per Mimì viene allestito con il poco che si trova in scena e la soffitta è immutata rispetto all'inizio dell'opera.

Sebbene stessimo assistendo a uno spettacolo di repertorio della Wiener Staatsoper, e i titolari dell'orchestra fossero impegnati nella produzione del mattino, il livello musicale rimane di livello assoluto, capace di competere vittoriosamente con i maggiori teatri del mondo.

Ottimo il Rodolfo di Piero Pretti, che torna al ruolo pucciniano dopo diversi anni: l'emissione è morbida e omogenea in tutti i registri e il fraseggio curato. Scenicamente il tenore sardo dà il meglio di sé nel terzo e quarto quadro, quando la componente passionale prende il sopravvento e viene ben evidenziata da un fraseggio curato nell'esternare il tormento amoroso interiore del poeta parigino. Discorso simile per la Mimì di Marita Sølberg, che si fa preferire nelle pagine più drammatiche del ruolo con un crescendo emotivo che ha suo compimento nello struggente assolo della giovane ricamatrice: “Sono andati? Fingevo di dormire”. Emissione talvolta eccessivamente cavernosa per Gabriel Bermúdez (Marcello), che, comunque, non demerita e delinea un buon Marcello. Di rilievo lo Schaunard di Manuel Walser, dotato di bella voce ed emissione sicura, interpreta molto bene la parte, con grande impegno musicale e scenico, premiato da una resa complessiva degna di nota. Stesso discorso per il Colline di Jongmin Park, autentico filosofo, personaggio giovane, ma incline alla riflessione. L'aria “vecchia zimarra” è affrontata con begli accenti e bello stile.

Migliore assoluta del cast la Musetta di Aida Garifullina, abilissima nell'esplicitare il cognome che le viene stizzosamente attribuito da Marcello: tentazione. Il soprano russo mette in luce grande personalità scenica e vocale, è civetta, insolente, ma anche sensibile e premurosa quando serve. L'emissione è calda e pastosa, la gestione dei fiati ottimale e l'omogeneità dei registri rimarchevole, così come l'abilità nel fraseggio. Bella anche la varietà di colori e le sfumature. Completavano il cast Martin Müller (Parpignol), Marcus Pelz (Benoit\Alcindoro), Csaba Markovits (Sergente dei doganieri), Jeong-Ho Kim (Doganiere) e Thomas Köber.

Si fa apprezzare anche la bella concertazione di Marco Armiliato, abile nel far emergere passione e struggimento della meravigliosa partitura pucciniana, con la giusta alchimia nell'assecondare l'impeto dei professori d'orchestra, che si distinguono, come sempre, per l'eccelsa qualità esecutiva, di fraseggio e musicalità. Come già detto in occasione della nostra recensione di Anna Bolena [leggi], lo scorso aprile, questa è un complesso artistico senza punti deboli, che rigetta la mediocrità.

Stesso discorso per lo straordinario coro della Wiener Staatsoper, diretto da Thomas Lang, il quale, anche se poco impegnato, dimostra una volta di più la sua qualità superiore. Eccellenza comune alle voci bianche e ai colleghi meno giovani.

Alla fine grandi applausi per tutti, con entusiasmo per la Garifullina. Tuttavia chi ha veramente trionfato è, come sempre, l'inarrivabile pubblico viennese, che sfoga la sua precisione ossessiva del quotidiano nell'estrema passionalità che ci circondava. Vienna non è a caso capitale mondiale della cultura, che permea ogni centimetro del tessuto urbano; Vienna e il suo popolo sono un'unità antropologica unica. È raro vedere gente commuoversi fino a ostentate calde lacrime per una Bohème di repertorio: un'umanità fatta di persone che non vivono della nevrosi insensata del rovinarsi l'esistenza per l'assenza di una semicroma. I viennesi amano le scienze e le arti in tutte le loro sfaccettature e, per questo, vanno solo guardati con ammirazione.