Cantabile marziale, ben marcato

 di Roberta Pedrotti

Ingolf Wunder sostituisce il previsto Yundi Li in un programma all'insegna dell'incontro parigino fra Chopin e Liszt

BOLOGNA, 16 marzo 2015 - Quando morì Rossini, Verdi progettò di celebrarlo coordinando la composizione di una Messa i cui numeri fossero affidati a colleghi italiani oggi più o meno noti e riservandosi l'onore della sezione finale del Responsorium. In memoria di Bellini, qualche anno prima, i parigini concretizzarono il loro omaggio sotto l'egida della Principessa di Belgiojoso in una serie di variazioni pianistiche sul tema di “Suoni la tromba, e intrepido” cui sovraintese Liszt. Un ricordo, dunque, in salotto, come l'eco della musica di quel biondo giovane mediterraneo, che, seppur con un carattere che sarebbe eufemistico definire difficile, incarnò il mito dell'artista caro agli dei e troppo presto scomparso, del sorgivo belcanto italiano e della sua malìa. Un ricordo salottiero, nel senso in cui l'opera riviveva alla tastiera, negli incontri eletti di amici, intellettuali, artisti o nella pratica quotidiana della buona società; nel senso in cui Bellini si conferma fratello e affine di Chopin, forse non grande orchestratore, ma compositore di finezza degna dei più grandi colleghi. Parte integrante di una koiné che dai teatri, alle sale da concerto alle mura domestiche a Parigi univa italiani, polacchi, ungheresi, tedeschi e francesi in un'artistica comunità già europea di confronto e dialogo.

Liszt coordinò il lavoro, compose l'introduzione, l'epilogo, una variazione e i brani di raccordo di questo Hexaméron, di queste sei giornate che, al pari dei sei giorni creativi della Genesi, dipanano e declinano tutte le pieghe del tema marziale belliniano trasformandolo, svelandolo, giocando anche solo virtuosisticamente da diverse angolazioniiun un crescendo che improvvisamente, a pochi istanti dalla conclusione, si ferma in un istante incantato. Allora il furore di Riccardo e Giorgio contro gli Stuart mostra il suo volto nascosto, il volto della melodia rarefatta, sospesa, il volto notturno. Liszt fa da collante, con le sue tipiche figurazioni ritmiche, con il suo celare e palesare il tema scorrendo dalla mano destra alla sinistra; Pixis, Herz, Cherny, Thalberg, quest'ultimo rivale diretto dell'ungherese nell'agone del virtuosismo su tasti bianchi e neri, variano con lui, una sequenza ciascuno: ben marcato, moderato, di bravura, legato e grazioso, vivo e brillante. Poi Chopin, ed è il largo sublime che, in un battito di ciglia infinito, prelude al vorticoso finale.

Pensi pure, chi vuole, che la variazione e la trascrizione di temi d'opera siano un genere minore, più commerciale, ma brani come l'Hexaméron, perfino nell'inanellare sezioni non geniali (diversi compositori coinvolti sono ora noti più come didatti e interpreti che come autori), racchiudono in sé l'essenza di un mondo musicale, la circolazione e l'elaborazione continua di stimoli e idee, la profondità di una scrittura che si trasforma senza requie, sempre riconoscibile e pur prismatica.

Quale suggello migliore, dunque, per un programma che proprio sul dualismo Chopin - Liszt verteva e in sé ambiva a sintetizzare le anime del pianismo parigino degli anni '30 e '40, fra intimismo e demoniaco virtuosismo, fra delicatezza e brillante esuberanza?

Dopo la rinuncia, per gravi problemi familiari, della stella pianistica cinese Yundi Li, vincitore diciottenne del premio Chopin 2000, concerto e, almeno nel concetto, programma sono ereditati dal trentenne austriaco Ingolf Wunder, che sempre al premio Chopin si era distinto, come secondo classificato ex aequo, nel 2010.

Wunder affronta, dunque, l'Hexaméron, incontro diretto fra Liszt e Chopin, dopo aver suonato dell'ungherese l'indiavolato Mephistowalzer e la placida Consolation n. 3, del polacco due notturni (op. 55 n. 2 e op. 62 n. 1) e due pezzi più classicamente di bravura, come l'Allegro de concert in la maggiore op. 46 e l'Andante spianato e Grande Polacca brillante op. 22. Per entrambi, dunque, riflessione ed estroversione, il salotto e la grande sala da concerto.

Polacchi e ungheresi a Parigi gli autori, austriaco carinziano l'interprete, l'esecuzione esala una sorta di singolare atmosfera teutonica. C'è un che di denso, massiccio, quasi, nel tocco di Wunder, un corpo che non è quello vigoroso, dinamicamente estremo, della scuola slava, che non cerca trasparenze e sottigliezze, ma ci ricorda la solennità potente di certe letture beethoveniane tradizionali, una serietà compita che non è necessariamente rigida, né aliena da qualche libertà, ma sempre controllata, ponderata. Quasi un riserbo nei confronti della melodia e della cantabilità, il desiderio di rifuggire abbandoni eccessivi e fuori luogo, si risolvesse in una severità scandita nota per nota, con determinazione. Il suo passo è deciso, l'incedere energico, la concentrazione tesa a concepire il programma come un unico respiro che trova alla fine un porto e un ristoro proprio nell'ultimo bis. Dopo Clair de lune di Debussy, la trascrizione di "Casta diva" di Chopin: ancora Bellini, ancora il ristoro - combattuto e controverso - del canto.