Essais per un ciclo

 di Giuseppe Guggino

A Palermo nel giro di un mese approda l’esecuzione integrale dei cinque concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven, accompagnata da alcune sinfonie e da pagine meno note del pilastro del classicismo musicale. L’appuntamento di punta con Jean-Efflam Bavouzet certifica però la sostanziale scarsa riuscita dell’operazione.

Palermo, 28 marzo 2015 - Al Teatro Massimo ultimamente si fanno essais di varia natura, intesi non già nel senso à la Montaigne, ma in quello più ordinario di “prove”, “esperimenti” un po’ a casaccio, per la verità.

Il primo di questi esperimenti ha carattere eminentemente scientifico e consiste nel collocare al fondo della sala (ormai da svariati mesi) una fotografa compulsiva capace di scattare migliaia di fotografie tutte dalla medesima angolazione per l’intera durata di ogni spettacolo; francamente non riusciamo a capire se lo scopo dell’esperimento sia quello di misurare il livello di sopportazione del pubblico oppure quello di cavare un filmato dal servizio fotografico scaturito dalla modalità burst-mode. Nel secondo caso, in attesa che le neo nominate consulenti “responsabile della promozione e valorizzazione nazionale e internazionale dell’immagine della Fondazione” e “responsabile delle relazioni nazionali e internazionali della Fondazione” (e giuriamo che non si tratta di uno scherzo, ma di due persone in carne ed ossa) si premurino di segnalare alla governance della Fondazione medesima come simili esperimenti non agevolino le rispettive mansioni, ci permettiamo di suggerire sommessamente che qualcosa di vagamente analogo risulta già brevettato in Francia dai fratelli Lumière nell’ormai lontano 1895: essai inane, quindi.

Il secondo esperimento sta nel prendere un meraviglioso esemplare di scrittura corale beethoveniana – Meeresstille und glückliche Fahrt, appartenente a quei dieci lunghi anni che separano l’ottava dalla nona – bisognevole di cristallina intonazione per il sostenuto iniziale e di dionisiaco vigore per il conclusivo allegro vivace, e affidarlo al Coro del Massimo: essai avvilente.

Il terzo è affiancare grandi nomi del pianismo internazionale a bacchette della generazione di Harry Potter cui affidare la ricerca della pietra filosofale beethoveniana. Nello specifico Jean-Efflam Bavouzet alle prese con il quinto concerto colpisce e affascina per l’approccio titanico alla pagina, contraddistinto sin dall’inizio da un uso percussivo del tocco; eccettuata qualche trascuratezza di troppo nel primo tempo, il tocco però è rimasto immutato anche nel secondo tempo, rovinando la poesia ricercata dai bravi legni dell’Orchestra e il rondò, più che la necessità di un lavoro di ripulitura e di ripristino di uguaglianza delle durate, ha denunciato veri e propri macroscopici svarioni. Cose che possono financo apparire perdonabili a fronte dell’aver accostato al sommo Beethoven il molto meno sommo Gabriel Pierné, eseguendo il suo Étude da concerto come bis: essai sur la virtuosité? Ma magari! Essai di nazionalismo.

Il quarto esperimento: eseguire Beethoven ignorando l’ultimo Abbado, Harnoncourt, l’ultimo Chailly, Zinman e via dicendo; sarebbe sulla carta l’esperimento più scellerato ma, alla fine, è l’unico che riesce plausibile, giacché di tutte le bacchette scritturate nel ciclo quella di Daniel Cohen è forse l’unica provvista del bagaglio tecnico minimo necessario e, alla fine, capace di far suonare un’accettabile quinta sinfonia a un’Orchestra tutta decibel e velocità, in mancanza d’altro. Essai di superficialità (ancorché corretta) applicato ad uno dei compositori più profondi della storia della musica.

Il quinto esperimento consiste nel non fornire più al pubblico il tradizionale pieghevole gratuito del Massimo delle precedenti stagioni, con l’indicazione dei movimenti dei pezzi in programma corredata da una nota di basilare alfabetizzazione musicale; per la cronaca il programmino di sala attuale (a pagamento) presenta i medesimi contenuti del rimpianto pieghevole gratuito, con la sola aggiunta – controproducente – della pletora di nuovi consulenti. Ovviamente, a fine del primo tempo del quinto concerto, l’applauso incipiente è inevitabile: essai sulla mancata redenzione dell’ignoranza.

Il sesto esperimento – di tipo revisionistico – consiste nel tentativo di convincerci che i concerti per pianoforte di Beethoven siano sei, includendo nel novero la trascrizione per piano della principalstimme del noto concerto per violino e orchestra composto un anno prima, però omettendo quello giovanile cosiddetto No. 0 (WoO 4); il ribattezzato “sesto” (che noi continueremo a chiamare Op.61a, se non altro perché cronologicamente anteriore al quinto) sarà proposto al Massimo il prossimo 2 aprile ma, nonostante l’affidabile Roberto Prosseda in cartellone, preferiremo concludere il ciclo in maniera domestica con una bella incisione (Oppitz-Janowski, ad esempio), almeno ci si risparmierà il fotoclick nelle orecchie quale percussione aggiuntiva: essai di saggezza.