Il pianoforte di Calvino

 di Roberta Pedrotti

Per la rassegna Grandi Interpreti del Bologna Festival, prima della pausa estiva, Murray Perahia spazia da Bach a Beethoven, da Haydn a Chopin e Franck in una sorta di poema del peso e della leggerezza in musica.

BOLOGNA, 10 giugno 2015 - Alcune figure discendenti, nel primo movimento la Sonata in la bemolle maggiore Hob. XVI:46 di Haydn, sembrebbero uguali nella scrittura. Ma una, in quel suo moto, cade in modo diverso; una differenza quasi impercettibile se non fosse che in quel momento sentiamo il peso della nota, fisicamente, posarsi su di noi e farsi pietra del paragone di tutte quelle altre scalette, e poi di ogni altra frase, figura, singolo suono, di cui percepiamo esattamente le variazioni ponderali nel tocco di Murray Perahia.

La Leggerezza è il tema della prima delle Lezioni americane di Italo Calvino, in cui fin dalle prime righe si dichiara che l'elogio della levità non implica che “le ragioni del peso” possano essere “meno valide”. Anzi, “dobbiamo ricordarci che l’idea del mondo come costituito d’atomi senza peso ci colpisce perché abbiamo esperienza del peso delle cose; così come non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di peso. Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo d’impulsi magnetici; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni.”

Ciò vale, naturalmente, anche per il linguaggio musicale, nel quale in genere si suole associare alla leggerezza un valore sovente positivo, mentre si guarda con più sospetto il peso. Tuttavia la leggerezza non avrebbe ragion d'essere se non fossero declinate, come qui da Perahia, tutte le possibili gradazione del peso fisico della musica, quanto di più immateriale si possa immaginare e capace di conquistare tutta la gamma della materialità. Le note scivolano come piume o perle, fitte e sottili, morbide e pastose. Si legano, fraseggiano, si rincorrono e si specchiano nei contrappunti, cantano, ma sempre in questo continuo gioco di pesi e contrappesi, sottrazioni, crescite che non contraddice il percorso stilistico di un programma che sembra un trattato di storia del pianoforte (e del clavicembalo e del fortepiano): Bach, Haydn, Beethoven,Chopin, Franck (penultimo in ordine di esecuzione per presumibili ragioni pratiche di durate ed equilibri, ma di fatto chiusura ideale del cerchio con il suo Preludio, Corale e Fuga); quindi i tre bis, Chopin con lo Studio op. 25 n. 1 e il Notturno op. 15 n. 1, e Schumann con Traumeswirren da Fantasiestucke op. 12

Il gioco con il peso è intelligente, talmente calibrato e sottile da essere funzionale al linguaggio specifico dei brani in programma, e non viceversa. Basta un piccolo particolare, in una manciata di secondi che scivola via in un istante come sabbia fra le dita, a fare la differenza.

Siano le danze della seconda Suite francese di Bach, sia la Sonata op. 27 n. 2 di Beethoven (Al chiaro di luna) con quel lattiginoso tema-non tema nel primo movimento o con il precipitare del terzo; sia il citato Haydn, o lo Chopin dello Scherzo n. 1 op.20, o ancora la densa dottrina dell'organista Franck, il peso è sempre giusto. Esatto, di quell'esattezza che offre a Calvino il tema per la sua terza Lezione americana.

Questa precisione nel conferire misura materica più ancora che coloristica o dinamica al suono costituisce la firma e il fascino personalissimo dell'approccio di Perahia. Il quale, lo ribadiamo, da grande qual è non si limita certo a soppesare la singola nota, ma fa musica nel vero senso della parola. Esattamente come Calvino descrive il poetare di Lucrezio, cantore della materia e della concretezza fisica del vuoto come di “corpuscoli invisibili” che, insieme la compongono e ne determinano un peso ineludibile, ma che tuttavia non ci schiaccia, in virtù delle deviazioni imprevedibili degli atomi, della libertà connaturata al mondo animato e inanimato, nel quale l'essenza materiale non è per questo ineluttabilmente e infallibilmente meccanicistica. “La poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, così come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo.”

Pubblico numeroso e successo entusiastico.