Piano e tulipani

 di Roberta Pedrotti

Autentico divo, in coppia con il fratello Lucas, in patria, il pianista olandese Arthur Jussen debutta in Italia nella rassegna bolognese pianofortissimo - sempre un'interessante vetrina di talenti internazionali, spesso autentiche rivelazioni. Dietro l'immagine giovane a accattivante, però, non ha messo in luce particolari virtù artistiche.

BOLOGNA, 22 giugno 2015 - In patria, insieme con il fratello, è una star, invitato dalla famiglia reale, ospite nei programmi tv, con un fitto calendario concertistico e un bel contratto con la Deutsche Grammophon. Fuori dall'Olanda il nome di Arthur Jussen, e di suo fratello Lucas, è pressoché sconosciuto, eppure gli ingredienti per sfondare ci sarebbero tutti in un pianista men che ventenne, biondo, belloccio , look giovanile e foto sbarazzine, per di più se possiamo moltiplicare questi fattori per due.

Non si atteggia a divo né ad antidivo, non si impone per genio né per sregolatezza, efebico senza essere effeminato: potenziale notevole e deliziosamente neutro per chi voglia investire nell'immagine di Arthur e, di riflesso, di Lucas, che a dispetto dei tre anni di maggiorità ne sembra il gemello. Le perfette caratteristiche mediatiche del ragazzo possono però essere un'arma a doppio taglio, perché i giovani artisti carini e alla moda non sono né una novità né troppo rari nel mondo moderno, ma proprio per questo rischiano di omologarsi in un calderone indistinto e di non brillare, in una fitta costellazione, che lo spazio di un mattino, o in un'area circoscritta.

Sarà stata la tensione del debutto assoluto in Italia, ma per la seconda serata del Festival pianofortissimo, Arthur Jussen non è parso più che un ragazzo di bell'aspetto che ha studiato pianoforte con molta diligenza. Il programma eterogeneo non lo ha aiutato, ché, più di un variegato biglietto da visita o di un percorso stravagante ma ponderato, è parso una vetrina eclettica dove si può trovare un po' di tutto ma non si viene colpiti da nulla. Haydn, con la Sonata n. 62, non si differenzia da Beethoven, con le 32 Variazioni in do minore; le Variations op. 41 del russo Nikolaj Kapustin mancano nell'esecuzione di quello spirito jazzistico che dovrebbe innervarle. Dopo l'intervallo gli Jeux d'eau di Ravel scivolano via esattamente come Carnaval di Schumann e i due bis, l'ultimo dei quali conferma quanto sia difficile cogliere davvero l'anima di un Notturno di Chopin.

Sarò stata la tensione, l'abbiamo detto, ma il tocco non ha rivelato una spiccata personalità, una ricerca sul suono, sulla dinamica, sul fraseggio, che patiscono, invece, una certa rigidità di braccio e musicalità.

Scopo di un Festival come questo è senza dubbio anche scovare nuovi talenti e portare alla ribalta pianisti meno noti al grande pubblico, nomi che difficilmente vedremmo in Italia, appagare piccole e grandi curiosità. A volte si colpisce il bersaglio e si assestano colpi da maestro, come nel caso di Maria Perrotta e Beatrice Rana, applaudite negli anni passati, o di Mariam Batsashvili, che ha inaugurato la rassegna 2015 [leggi la recensione]. Non sempre può essere così, naturalmente, e l'impressione è che Jussen sia più che altro destinato a godersi la sua fama continuando a profetare in patria. Naturalmente gli auguriamo di spiccare invece il volo liberando la sua personalità artistica, ma sicuramente per una carriera internazionale di primo piano un po' di più di quanto ha fatto intendere a Bologna dovrà dimostrare.