Arnaldo Cohen, il virtuoso e il retore

 di Alberto Spano

Rara e gradita occasione di riascoltare in Italia il pianista brasiliano Arnaldo Cohen, vincitore nel 1972 del concorso Busoni di Bolzano: la offre il festival trentino "Kawai a Ledro", con un fiammante grancoda, gioiello della casa giapponese.

LEDRO (TN), 18 agosto 2015– «Oggi non siamo più pianisti, siamo tutti diventati “steinwaysti”». È una boutade di una ventina d'anni fa del compianto pianista e scrittore Mario Delli Ponti. Ma è anche una sacrosanta verità, che nasconde un'amara e malcelata critica ai maggiori pianisti del nostro tempo. La stragrande maggioranza dei quali si è omologata al suono brillante e alle prestazioni sicure della casa costruttrice Steinway di Amburgo e New York che, dalla fine degli anni sessanta, ha conquistato un predomino incontrastato in sala di concerto. È altrettanto vero, tuttavia, che 'pianoforte' significa anche altro: altre voci, altre campane. Esistono cioè alternative al gioiello amburghese, molte delle quali giungono dal lontano Giappone, dove giganti come Yamaha e Kawai hanno raggiunto risultati competitivi al pianoforte tedesco-americano. E per fortuna ci sono stati, ed esistono tuttora, molti grandi pianisti che amano strade diverse: András Schiff, per esempio, che ha un debole per Bösendorfer, Aldo Ciccolini che amava Fazioli e Bechstein, Sviatoslav Richter che suonava solo Yamaha, Jorge Bolet solo Baldwin, Sergei Rachmaninov e – oggi – Arthur Pizarro: solo Blüthner. Da alcuni anni l'immenso Mikhail Pletnev predilige Kawai, pianoforte che a suo dire gli consente un maggiore controllo sulla corsa del tasto e di conseguenza sulle straordinarie raffinatezze timbrico-dinamiche di cui egli è capace.

A conferma di ciò è stato utile ascoltare il 18 agosto un raro recital del pianista brasiliano Arnaldo Cohen all'Auditorium di Locca di Ledro, in Trentino, dove da undici anni si svolge il prezioso festival pianistico “Kawai a Ledro”, sotto l'egida di Roberto Furcht. Duplice opportunità: ascoltare un fiammante gran coda della serie più prestigiosa, la “Shigeru Kawai”, dalle mani di un pianista che raramente suona in Italia (ricordiamo un suo commovente recital una ventina d'anni fa al Teatro Comunale di Bologna) nonostante la sua strepitosa vittoria nel 1972 al Concorso “Ferruccio Busoni” di Bolzano. Abbiamo dunque ritrovato con piacere quel virtuoso di razza che stupisce il pubblico col rigore intellettuale delle sue lucidissime letture, ma che al momento opportuno sfodera la marcia in più del fuoriclasse. La Ciaccona di Bach trascritta da Busoni in apertura di serata serve a Cohen per calibrare mirabilmente volumi e dinamiche, con un infallibile gusto tutto busoniano (si badi: non bachiano) di stampo novecentesco, con campate di suono vertiginose e un magnifico legato di dita. Dopo l'esordio quasi sacrale sulle note bachiane, ecco poi Cohen virare nelle sonorità latino americane di cinque pagine di raro ascolto da noi: l'Aria dalla Suite Antiga op. 11 di Alberto Nepomuceno (il “Brahms brasiliano”), il Valzer n. 7 di Radames Gnattali, la Valsa Lenta n. 4 di Luis Levy, Corrupio (Valsa Capriccio) di Francisco Braga (un evidente omaggio-rivisitazione del Valzer “in un minuto” di Chopin), infine due pezzi di Ernesto Nazareth: il popolare Odeon (Tango brasileiro) e Apanhei-te Cavaquinho. Tutte pagine alle quali Arnaldo Cohen conferisce una grande nobiltà espressiva e accenti fin troppo trattenuti.

Eccolo poi nella seconda parte tornare all'atmosfera rarefatta e poetica, con un suono sospeso e quasi impalpabile nell'Arabesque op. 18 di Schumann. Infine dare sfoggio di sapiente costruttività drammaturgica nello Scherzo n. 2 op. 31 di Chopin, in cui abbiamo ritrovato perfettamente fusi il virtuoso brillante e il retore severo. Ottimo anche il Kawai, lo strumento offerto da Furcht: suono pastossissimo, colore scuro con rifrazioni decisamente ambrate, meccanica e scappamento perfetti. Un grande strumento il cui suono si espande con naturalezza e profondità nella morbida acustica dell'Auditorium di Ledro.