Rigori tedeschi

 di Andrea R. G. Pedrotti

Il rigore di una resa tecnica d'alto livello, ma anche di una temperatura emotiva piuttosto bassa, caratterizza il concerto veronese della Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin diretta da Marek Janowski. Fra le due Quarte sinfonie a confronto, più di Beethoven convince Bruckner.

Prosegue la stagione settembrina dell'Accademia Filarmonica di Verona e il nostro panorama sugli stili interpretativi delle orchestre del vecchio continente passa all'opulenta Germania. Nella serata del 24 settembre 2015, infatti, abbiamo avuto il piacere di ascoltare la Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin; complesso che può certo vantare professori dotati di tecnica di buon livello, ma meno votati all'interpretazione, rispetto ai colleghi ascoltati nelle serate precedenti. Il nozionismo e la perizia tecnica dovrebbe essere il prerequisito di ogni mestiere, compreso quello del musicista, e queste caratteristiche, ad alti livelli, devono essere esse stesse parte dell'animo dei varî professori d'orchestra. All'ascolto del complesso berlinese abbiamo avuto l'impressione che l'attenzione alla tecnica fosse fin troppo esasperata, senza lasciare spazio alcuno alla passione. Suoni quasi sempre precisi e pertinenti, ma esposti in una gioielleria di orafi industriali e non certo artigiani. Non imprecisioni vistose, ma, sicuramente, poca partecipazione e una freddezza che non ha saputo scaldare il cuore del pur numeroso pubblico in sala.

Per la prima volta in questo Settembre dell'Accademia, non abbiamo avuto il piacere di ascoltare alcun brano che prevedesse la presenza di un solista, poiché si è deciso di cominciare con la Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60 di Ludwig van Beethoven. Come detto in occasione della recensione dello splendido concerto dello scorso 21 settembre, confermiamo la nostra idea a proposito della difficoltà di eseguire le musiche di Beethoven. Nel caso della Quarta Sinfonia, il modo maggiore è quasi esclusivamente di facciata, poiché il tema principale non presenta momenti particolarmente luminosi e l'allegro viene sempre frenato. Solo il primo movimento ha un tratto di maggior brio, mentre i successivi tre si inquadrano in una strana dicotomia di significati, che non scade mai nell'ossimoro, molto bella nell'ambito del classicismo viennese più tipico. Le difficoltà, come dicevamo prima, tuttavia sono tutte nell'evitare che la melodia divenga ripetitiva, se non stucchevole. L'orchestra berlinese, diretta dall'esperta bacchetta di Marek Janowski, risulta piuttosto avara di accenti, con una scelta di dinamiche poco coinvolgenti e un'esecuzione, invero, monocromatica. Alcune esplosioni vengono meno, lasciando spesso lo spettatore deluso, come fosse stato abbandonato dopo la fallace speranza d'un platonico consesso amoroso. Il gusto viennese dovrebbe essere improntato da una grande partecipazione emotiva, caratteristica di una città che ha sempre amato sublimare il proprio fermento dell'anima in musica, arte, letteratura, filosofia.

Dopo un breve intervallo, siamo nuovamente accolti dalla bella sala, frutto dell'ingegno architettonico di Francesco Galli da Bibbiena, quando i soli quindici minuti di pausa, divengono ottantadue anni, se consideriamo l'anno della prima esecuzione del brano ascoltato poco prima. Siamo sempre a Vienna, ma l'autore ora è Anton Bruckner e ci accingiamo ad ascoltare la Sinfonia n. 4 in mi bemolle maggiore “Romantica”. Delle quattro versioni che si sono succedute, quella che abbiamo ascoltato è stata la stesura del 1878/1880. La bacchetta di Marek Janowski, che ha diretto l'intero concerto a memoria, senza partitura, ci è sembrata decisamente più versata verso questo tipo di repertorio. Si parte e si arriva in mi bemolle maggiore, con un passaggio, nel secondo movimento in do minore. Sicuramente un bell'esempio di romanticismo musicale, di esecuzione più semplice nell'accentazione, ben evidenziata dall'autore, ma perigliosa sotto quello del fraseggio. Questa volta i direttore era a suo agio nelle insidie del pentagramma e ha potuto offrire agli astanti un'esecuzione di buon livello, bella e uniforme per tutta la durata. Anche qui non abbiamo notato particolari spunti, o idee degne d'esser immortalate nei nostri animi, tuttavia l'insieme della prova, in questo secondo brano, ha avuto il pregio di suscitare in noi un buon ricordo dell'esperienza vissuta. Buono l'equilibrio fra le sezioni, senza, come in occasione del primo brano, punte di particolare eccellenza per nessuno degli strumenti impegnati. Tutti corretti e precisi, ma nulla più.

Curiosamente, e per la prima volta in questo 2015 dell'Accademia, non è stato concesso nemmeno un bis al pubblico, forse non caloroso come tre giorni prima, ma di sicuro plaudente senza remora alcuna.

La lunga, quanto ricca, stagione del Filarmonico e della sua Accademia, tuttavia, non si conclude sicuramente qui e attende molti spettatori, anche per le serate che seguiranno.

foto Maurizio Brenzoni