Barocco lipsiense

 di Francesco Lora

Nel concluso festival MITO, la Matthäus-Passion di Bach ha tenuto un posto d’onore: eccellente la concertazione di Jacobs, decodificatore di strutture retoriche neglette, e validi l’orchestra e il coro berlinesi.

MILANO, 21 settembre 2015 – Nel programma del festival MITO Settembre Musica 2015, appena concluso, evidente è stato il posto d’onore riservato a Johann Sebastian Bach, a René Jacobs e all’Akademie für Alte Musik di Berlino. Il compositore figurava in dieci concerti e l’orchestra brandeburghese in sei; a sua volta, Jacobs è stato protagonista di un incontro pomeridiano con il pubblico alla Cavallerizza di Milano (18 settembre) e ha quindi concertato i berlinesi sia nella Johannes-Passion sia nella Matthäus-Passion, eseguite a Milano nella Sala Verdi del Conservatorio (19 e 21) e riprese a Torino nell’Auditorium del Lingotto (20 e 22). Se la Johannes-Passion secondo Jacobs lascierà presto, com’è presumibile, una traccia discografica da tenere d’occhio, la sua Matthäus-Passion è invece stata consegnata al disco già da tre anni: costituisce l’esegesi di riferimento per la storia interpretativa degli ultimi tempi e manda a farsi benedire i monumenti discografici che, da Karl Richter a Nikolaus Harnoncourt, sono passati o van passando dall’incenso alla ruggine.

Qui come altrove, il valore (ipervalore) di Jacobs è non tanto nella tecnica direttoriale, all’incirca dilettantesca, quanto nel riconoscimento e nella restituzione delle figure retoriche. La visione idolatra di Bach come ideale interlocutore diretto con Dio, romantica e poi novecentesca, ha determinato per decenni – e anche sotto la signoria degli strumenti antichi – letture condotte al passo del Parsifal, uniformi nel carattere e impassibili nel porgere. Con Jacobs, l’immane arazzo srotolato e polveroso diviene per contro collezione di miniature, ove le risorse sono quelle meticolose della filigrana, della lumeggiatura, del contrasto tra opposti benché non di troppa mole. Tempi svelti, colori a mille, affetti devoti e pudici ma schietti, sinceri, accorati. Va da sé che la cavillosa messa a punto del CD è storia differente rispetto all’esecuzione dal vivo; anche perché le forze schierate, se il portafoglio non è più quello della casa discografica entusiasta bensì quello di un festival stremato dalla sordità culturale italiana, sono qui di importanza dispari.

La compagine corale, per esempio, a Milano e Torino è divenuta una sola, e priva di voci bianche, anziché raddoppiare e dividersi tra brani con differenti ruolo e forma: brani concertati a otto voci, in due cori, contro corali luterani a quattro voci. Fermo rimane che il RIAS Kammerchor, al pari dell’Akademie für Alte Musik, vanta tutta la possibile esattezza di lettura: voci e strumenti avrebbero naturale piuttosto freddo, per la verità, se non vi fosse Jacobs a sollecitare la miriade di inflessioni espressive, mobilità agogiche, giustapposizioni calde. Dall’incisione al concerto, è in questa Matthäus-Passion che, accanto ad arie commosse e corali immacolati, si trovano con probabilità le più travolgenti, furenti, struggenti turbæ – vale a dire gli interventi corali delle masse parlanti nel racconto evangelico – ascoltate in età contemporanea: qui e là, Jacobs improvvisamente le fa respirare con improvvisi silenzi, le allenta, le precipita, con effetto prospettico degno del Barocco romano più che della sobrietà lipsiense; divengono recitativo anche quando siano fuga.

Il lussureggiare prende qualche pausa nel florilegio delle voci soliste, disparate per estrazione e conseguimenti. Nei recitativi dell’Evangelista, il tenore Werner Güra è secondo solo a Christoph Prégardien – insuperato e glorioso, quand’anche ora declinante – per eleganza di fraseggio, pulizia di pronuncia, fragranza d’involo, incisività d’accento, misura di porgere. Negli interventi del Cristo, il basso André Schuen sa porsi su un piano d’azione più distante rispetto al narratore, anche quando la mite stilizzazione lo conformi a un’innocenza oleografica da aula di catechismo alla san Pio X. Il suo patrimonio vocale è sano e sugoso, mentre l’altro basso, Konstantin Wolff, impegnato nelle arie, è forse più dotato ma patisce maggiori asprezze. Fedelissima seguace di Jacobs in cento progetti, il soprano Sunhae Im ha peso di soubrette e musicalità sterminata. Funzionale il tenore Sebastian Kohlhepp. Kristina Hammarström distratta e angustiata nella parte per lei troppo fonda del contralto.

foto MITO - M. Boero