Perdersi… Ritrovarsi

 di Giuseppe Guggino

Si inaugura con questo concerto la rassegna “Nuove musiche” del Teatro Massimo di Palermo. Molto buona la prova dei complessi del Teatro sotto la guida del maestro Gabriele Ferro, che merita gli applausi concisi ma convinti arrivati dopo il finale di Tristan und Isolde.

Palermo, 21 novembre 2015 - Si coglie molto bene con il titolo “Perdersi… Ritrovarsi” l’essenza e l’effetto sortito dal programma di questo concerto inaugurale di “Nuove musiche 2015”. Nuove sì, ma non nuovissime, giacché Trans di Karlheinz Stockhausen è un pezzo quarantacinquenne e, sebbene ancora audace nel provocare presso il pubblico sgomento e smarrimento, come sovente accade alla musica d’avanguardia risulta piuttosto datato nelle sonorità inquietanti che rievocano alla mente certa filmografia alternativa d’antan. Una descrizione molto efficace del pezzo, necessariamente semiscenico per le indicazioni del compositore, ci è fornita dal maestro Ferro nella recente intervista accordataci [leggi]. In aggiunta può dirsi che l’esecuzione è risultata estremamente suggestiva, gli assoli – molto difficili, specialmente per la prima tromba e per il primo violino –, con quel che di apparentemente estemporaneo che devono comunicare, sono stati eseguiti con cura e infine i colpi di maglio su nastro magnetico sono sempre caduti nei punti giusti. Il desiderato effetto di smarrimento è risultato pienamente centrato, se quella manciata di secondi d’improvviso silenzio in quasi trenta minuti di durata del pezzo hanno destato nella sala qualche sospiro a voce alta.

Nella seconda parte del concerto, a far da collegamento tra due pezzi importanti d’epoche differenti, si è avuta l’esecuzione molto accurata dei pezzi di apertura e chiusura della colonna sonora da Kundun di Martin Scorsese.. Il maestro Ferro nell’intervista, disquisendo sulla musica contemporanea, affermava che dopo gli anni ’80 la musica colta è morta (almeno momentaneamente), e non possiamo che dirci in assoluto accordo dopo aver ascoltato il neomelodico Glass del 1997. Sarebbe stato di qualche curiosità leggere il testo salmodiato dal simpatico monaco buddista Tashi Lama, ma l’essenziale flyer di sala – che da questa stagione concertistica è a pagamento – sfortunatamente non ne riporta alcuna traduzione.

Infine il ritrovamento di cui al titolo del concerto si verifica inevitabilmente con il preludio e il finale di Tristan und Isolde. Il maestro Ferro chiede e ottiene da dei violoncelli in stato di grazia un suono omogeneo e voluttuoso sin dalle prime battute (e pensare che all’inizio gliene avevano dati cinque, ma seppe pretenderne otto, ché un musicista vero sa che altrimenti Wagner non si può fare), e trascina l’intera compagine in una lettura febbrile, energica, praticamente perfetta, se non per qualche tremolo acuto dei violini primi nel liebestod risultato perfettibile (ma si parla pur sempre di un tremoli fra sol# e si, e va da sé che si tratti di prodezze). E questo finale lascia ben sperare per l’atteso Siegfried che finalmente giungerà ormai a breve, sebbene tardivamente.