Poeta di suoni, suoni di poesia

 di Roberta Pedrotti

 

Giuseppe Battiston, straordinario interprete delle poesie in dialetto furlano, chiude in bellezza il ciclo pasoliniano di Musica Insieme e Unipol con Mario Brunello.

BOLOGNA, 24 novembre - Poesie e villotte. Il cerchio si chiude. Il ciclo dedicato a Pasolini visto attraverso il suo rapporto con la musica (e della musica con lui) termina tornando alle origini del mondo sonoro del poeta, al suo universo fonetico natìo e alla sua dimensione di vero e proprio “scrittore di musica”, intima aspirazione ed epigrafe dei tre incontri all'Auditorium Unipol.

La musica vera e propria, quella del violoncello di Mario Brunello affiancato, in questo caso, dal pianoforte di Glauco Venier, è il paesaggio ideale, il filo conduttore che, rielaborando il tema delle villotte popolari furlane, unisce dapprima le poesie della raccolta La meglio gioventù (1942-53), si intreccia poi in maniera pervasiva ai testi della seconda parte, che affiancano i versi giovanili a quelli più maturi della Nuova gioventù (1974). Non c'è dibattito, non è un incontro, è solo la sua voce, il suo suono, c'è solo Pasolini, stasera. Com'è giusto, dopo tanti punti di vista e rispecchiamenti: lasciar la parola a lui.

Chi se ne fa portavoce è uno straordinario Giuseppe Battiston, attore non men che magnifico, non solo perché condivide con Pasolini l'idioma natìo friulano, ma perché alla padronanza linguistica che non possiamo che dar per scontata unisce la capacità comunicativa superiore di rendere il senso fisico della lingua, sì che la traduzione pur distribuita al pubblico è, certo, preziosa per la profondità contenutistica, ma quasi superflua ai fini del godimento della serata. Assaporiamo tutto il gusto del dialetto come lingua popolare, sanguigna, concreta, ma anche il suo innalzamento (o, meglio, disvelamento) letterario, la preziosità del verso, la densità del senso. Difficile trovare un termine di paragone attoriale nella lettura poetica senza ricorrere a grandi nomi del Novecento, non per nostalgia passatista, ma perché, viceversa, ogni epoca ha i suoi grandi, non esiste un'epoca di soli grandi o di soli mediocri.

Battiston ha carisma, indubbiamente, ha tecnica, ma soprattutto ha l'intelligenza e la sensibilità per far sì che l'attenzione vivissima della sala non sia dettata solo dal magnetismo del mattatore, che la gestione, musicalissima, dei respiri, dei ritmi, delle intensità non sia virtuosismo ma naturalissima promanazione della poesia stessa. Che è suono e significato.

I presagi di morte che spirano anche nei testi giovanili hanno una verità che fa rabbrividire anche al di là della loro valenza profetica, quasi il delitto di quarant'anni fa fosse stato decretato dalla Parca che aveva impresso il suo sigillo e rivelato il futuro già nella tenera età. Leopardi, isolato nel maniero avito, raccontava la campagna con la lingua del letterato classicista, Pasolini lo fa con il dialetto dei contadini, ma quante similitudini si ritrovano quando si innalzano a metafora della vita i sabati e le domeniche, la loro attesa, il loro passare! La coscienza politica è lucida e ficcante come la conosciamo, ancor più forte però nella lingua del popolo furlano e nella lettura fremente ma non retorica di Battiston. Quando si ascolta nell'Introduzione alla Nuova gioventù “Se tutti i giovani | comunisti si tagliassero | i capelli, cadrebbe | la maschera ai giovani fascisti” è impossibile non increspare le labbra nel sorriso amaro, riconoscendo tante maschere incontrate anche decenni dopo la morte di Pasolini.

Non c'è un istante in cui la tensione non sia calibrata per non cedere, ma vibrare su corde diverse e sempre riconoscibili, coerenti, com'era complesso, prismatico e ineffabilmente coerente il poeta assassinato quarant'anni fa sul litorale ostiense.

Questa volta Brunello resta un po' in ombra, niente Bach, niente assoli da brivido, ma proprio la sua capacità di porsi al servizio della poesia per lasciarla libera di affermare come possa esser essa stessa musica è da lodare e contribuisce a suggellare una serata che resterà nella memoria.

Eccellente chiusura per un ciclo ideato con grande intelligenza, coinvolgendo personalità diverse senza cedere in qualità, ma facendo della pluralità ricchezza e punto di forza di un omaggio denso e sintetico. Spiace solo notare che per un attore assai apprezzato e premiato al cinema ma forse non noto al grande pubblico quanto un cantautore quale Capossela [leggi la recensione] o un attore assai attivo anche televisivamente come Marcoré [leggi la recensione] i bolognesi siano accorsi numerosi senza però segnare i clamorosi esauriti delle serate precedenti. Chi si fosse fermato a due terzi del cammino avrebbe perso qualcosa di bello.