Apocalissi maggiori, apocalissi minori

 di Anna Costalonga

Debutto assoluto, alla Gewandhaus di Lipsia, per la versione completa per baritono (Matthias Goerne) e orchestra di Alle Tage di Thomas Larcher, lavoro già noto nella versione solo strumentale. La seconda parte del concerto ha visto il maestro Eschenbach e gli storici complessi lipsiensi misurarsi con la Nona sinfonia di Bruckner.

LIPSIA, 26 novembre 2015 - Giovedi sera si è svolto un concerto speciale alla Gewandhaus: nella prima parte abbiamo avuto modo di assistere alla prima mondiale dell’opera completa per baritono e orchestra Alle Tage del compositore austriaco Thomas Larcher, presente in platea. Si tratta di un lavoro commissionato dalla Gewandhaus, insieme alla fondazione Zaterdaag Matinee Amsterdam e alla National Symphony Orchestra di Washington, il cui direttore musicale Christoph Eschenbach si trovava sul podio.

Prima mondiale dell’opera completa perché nel 2011 ne era stata eseguita solo la parte strumentale e a questa si è aggiunta in seguito quella vocale, su testi della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann - particolarmente amata dal compositore, che l’aveva già musicata in precedenti lavori. Già dalle prime note, la mente corre a un altro celebre esempio di composizione per orchestra e baritono, Les Espaces du Sommeil, di Witold Lutoslawski, su versi di un altro grande poeta, Robert Desnos; per sonorità, tra il tellurico e il rarefatto con linee melodiche frammentate, per la vocalità richiesta, Alle Tage, infatti, ricorda molto da vicino lo stile del compositore polacco. Nel lungo intermezzo strumentale fra le ultime due liriche, invece, si sentono più evidenti gli influssi di un certo tipo di musica contemporanea americana, penso al John Adams di Slonimsky’s Earbox, per esempio.

Con un continuo oscillare timbrico, dinamico, glissandi degli archi insistiti e sinistri, l’uso esteso di percussioni, celesta e pianoforte, la partitura si fa più interessante, a mio avviso, proprio nel componimento eponimo Alle Tage, Tutti i giorni.

Tutti i giorni
La guerra non è più dichiarata,
ma proseguita. L’inaudito
si è fatto quotidiano. L’eroe
resta distante dalle battaglie. Il debole
è avanzato nelle zone di fuoco.
L’uniforme del giorno è la pazienza,
l’onorificenza la stella dimessa
della speranza all’altezza del cuore.
Viene conferita
quando non succede più nulla,
quando smette di martellare l’artiglieria,
quando il nemico è diventato invisibile,
e l’ombra di armamento perenne
copre il cielo.
Viene conferita
per la fuga dinanzi alle bandiere
per la prodezza dinanzi all’amico,
per lo svelamento di segreti indegni
e la non osservanza
di qualunque comando.

Ingeborg Bachmann
(traduzione di Anna Maria Curci)

Qui un pianoforte preparato, così da risultare solo percussivo, introduce un ritmo, quasi una marcia militare. Da qui si dipana poi un crescendo di frammenti melodici, di inizi ben presto interrotti di frasi eseguite dagli archi che più che esplodere in un atteso climax, sembrano quasi sgonfiarsi in un lungo glissando sinistro.

Qui il compositore Larcher traduce molto bene, a mio avviso, l’atmosfera da “apocalisse minore” della celebre poesia della Bachmann: una “apocalisse”, cioè, che non si produce in un’esplosione, ma al contrario, in uno svuotamento, nell’annullamento, quasi uno sgonfiamento di ogni umanità, di ogni coraggio.

Notevole la performance del baritono tedesco Matthias Goerne, che è riuscito a districarsi con gusto in una trama vocale ed espressiva non semplice - al di là della difficoltà intrinseca di una prima esecuzione. L’orchestra della Gewandhaus ha offerto una prova di grande ricchezza espressiva e timbrica sotto la direzione di Christoph Eschenbach, e, in particolare, gli archi e le percussioni hanno brillato ancora una volta per il loro virtuosismo.

La serata è proseguita poi con la Nona Sinfonia di Bruckner: una seconda parte sicuramente impegnativa ma di grande bellezza. Eschenbach ci ha offerto una buona direzione, ottenendo un notevole equilibrio orchestrale e un volume che mi è capitato poche volte di ascoltare dall’orchestra di Lipsia, che non sempre brilla per espressività e potenza, mentre il suo Bruckner, sotto Eschenbach, è stato potente e bruciante, quasi doloroso. In particolare le sezioni degli ottoni e dei timpani hanno offerto una performance splendida.
Il terribile secondo movimento, lo Scherzo, è stato ancora più terribile, con la scelta di accentuare pesantemente gli sbalzi dinamici tra volumi elevatissimi e calibrati - si poteva sentire tutta l’orchestra e non solo gli ottoni - e sonorità più delicate. Per usare una frase d’effetto, siamo passati da un’“apocalisse minore” , quella della prima parte, alle sonorità di un’"apocalisse maggiore” nella seconda parte del programma. ”Il volume del tema dello Scherzo è stato così elevato, che alla fine della frase se ne poteva sentire ancora l’eco in sala” , così ci siamo detti, tra il serio e il faceto, con il vicino di posto - per la cronaca un giovane e premiato compositore canadese.

Al termine della sinfonia un lungo silenzio, mi piace pensare impressionato, prima dello scroscio entusiasta degli applausi.