Luci nella notte

 di Roberta Pedrotti

Francesco Lanzillotta apre il concerto con un omaggio a Giovanni Salviucci (1907-1937), per proseguire con Nocturne op. 60 di Britten con la voce di Ian Bostridge e la Terza Sinfonia di Brahms.

PARMA, 18 dicembre 2015 - Il compito di un'istituzione culturale non è quello d'intrattenere rappresentando il noto: deve reinterpretarlo, mantenerlo vivo e stimolante. Ma non basta, la riscoperta del noto deve andare a braccetto con la riscoperta del meno noto, dell'ignoto, del segreto, del sepolto dal tempo o del nuovo. E la scuola dell'italiana generazione dell'Ottanta – quindi nomi come quelli di Respighi, Casella, Malipiero e Pizzetti con i relativi, più giovani, allievi – non ha mantenuto nel tempo la fortuna dei coevi operisti, o dei posteri sperimentali e impegnati come Nono, Donatoni, Berio, Sciarrino. Val la pena, così, di esplorare anche questo pezzo di storia della musica per lo più celata dietro le spesse cortine delle Feste, delle Fontane o dei Pini di Roma che spesso assorbono tutta la quota di programmazione dedicata alla musica strumentale nostrana dei primi decenni del '900. In quest'ambiente misconosciuto si svela un personaggio sfuggente e sfortunato come Giovanni Salviucci, padre di Giovanna Marini (il cognome d'arte è quello dell'ex marito), nato nel 1907 e morto solo trent'anni dopo; allievo di Respighi e Casella pareva destinato a un grande futuro con altri giovani promettenti come Dallapiccola e Petrassi. Così non fu, e ne resta un catalogo smilzo e meditato, dal quale traspare un'immediata, piena comprensione e assimilazione del neoclassicismo italiano, delle sue forme e strutture, del suo recupero del contrappunto (ricordiamo che l'abusato motto verdiano sul ritorno all'antico faceva preciso riferimento all'insegnamento della polifonia nei conservatori, base formativa a suo giudizio imprescindibile). Insomma, si era perfettamente appropriato degli strumenti compositivi del suo tempo, nel suo contesto, ma aveva dimostrato anche di possedere il talento che dall'epigono avrebbe potuto fiorire pienamente in una personalità di spicco. Valga per esempio la franchezza d'ispirazione degli incisi della viola nel secondo tempo di Introduzione, Passacaglia e Finale, forse il brano, se così si può dire, più celebre di Salviucci, diretto con una passione, una convinzione e una cura del dettaglio fra contrappunto e contegnosa cantabilità da un ispiratissimo Francesco Lanzillotta, primo fautore di un rispolvero del Novecento meno noto nella programmazione della Filarmonica Toscanini, di cui è direttore principale.

All'apertura inconsueta, il concerto prosegue con un indiscusso titano del XX secolo: Benjamin Britten e il suo Nocturne op. 60. Una raccolta di testi poetici nell'arco di tre secoli, da Shakespeare a Coleridge, da Shelley a Owen, tutti uniti da tematiche notturne, oniriche, fra sonno e veglia; versi messi in musica con la consueta, disarmante intelligenza da Britten e che richiedono un interprete in grado di leggerli con pari discernimento. Ian Bostridge è l'uomo giusto, l'artista e l'erudito, come sempre, al di là del cantante. E questa è musica che non basta cantare, è un atto di poesia, un'esegesi e una riscoperta per la quale la voce è un mero strumento intellettuale che deve essere piegato liberamente, anche fuori dai canoni. Si tratta di andare al cuore di questi versi, del loro suono intrinseco, delle suggestioni dell'articolazione britteniana, del ritmo e del timbro che ne scandiscono l'atmosfera, i sottintesi, le angosce. Bostridge ha la cultura e l'intelligenza per compiere questo percorso di analisi critica, con un'attenzione profonda al dettaglio, al linguaggio e al senso dell'opera, ai suoi tratti più inquietanti, surreali, simbolici, nelle sue ombre inconsce e apparizioni improvvise. Sospeso sul filo del dormiveglia fra ragione e irrazionalità, spande un briciolo ben dosato di lucidità in un liquido mondo onirico. L'articolazione della lingua inglese, anche nelle sue polisemie onomatopeiche, i contrasti fra colori androgini e baritoneggianti, la dolcezza e l'asprezza, la tensione e la distensione di una vocalità che ha come unico metro di paragone se stessa e in questo repertorio il suo terreno di elezione, si sposano alla perfezione con la direzione finissima di Lanzillotta, che dipana, in una prova strumentale rimarchevole di tutte le prime parti della Toscanini coinvolte, tutte le preziosità di questo straordinario capolavoro di Britten.

Dal Novecento, un balzo indietro nella seconda parte, con la Terza Sinfonia di Brahms (1883), composta trent'anni prima della nascita di Britten, ventiquattro prima di quella di Salviucci, un accostamento non causale con una delle basi della valorizzazione novecentesca della scienza del contrappunto e con una delle costruzioni formali più chiare, classiche e composte del grande tedesco.

Lanzillotta ancora una volta conferma la chiarezza e l'eleganza della sua bacchetta, in una lettura che doma perfino gli atavici scogli acustici dell'Auditorium Paganini – parso in quest'occasione decisamente meno ostile che in passato – sì da imprimere un'impronta personale con un'intensità lirica tutta compresa in una compostezza e in una finezza di fraseggio ed equilibri timbrici preziose soprattutto fra secondo e terzo movimento, resi con arte e lucida intelligenza.