La metafora oscura

 di Giuliana Dal Piaz

Non convince del tutto, nonostante alcune suggestioni visive e la bella prova di Seanna McKenna nel ruolo eponimo, il Julius Caesar shakespeariano proposto dal festival di Stratford.

Stratford, 31 agosto 2018 - Quella che immaginavo sarebbe stato il pezzo forte tra le opere shakespeariane di questa stagione, si è poi rivelata per me la meno soddisfacente.

Molto suggestiva, nello stile del Globe theatre, la scenografia lignea; belli i costumi elisabettiani dei personaggi principali, a cui solo una corta toga aggiunge un tocco di Roma repubblicana, mentre quelli dei cittadini sono grosso modo quelli dei popolani inglesi del XVI secolo. Efficace per lo più la musica araldica di Paul Shilton, se si esclude l’assurda scelta di un brano religioso tra il gregoriano e il rinascimentale per il momento della morte di Cesare.

Ma varie altre cose non mi hanno soddisfatto.

Non ha nessuna importanza che il regista Wentworth abbia deciso di affidare ad attrici i ruoli principali di un dramma concepito totalmente al maschile, anche se nel mondo romano, come in quello elisabettiano, la politica e la vita pubblica erano dominio esclusivo degli uomini – motivo per cui Elisabetta I sceglie di gestire il proprio lungo regno come un uomo! –. La scelta di Scott Wentworth mi sembra solo un riflesso dell’attuale tendenza a voler restituire alla donna la visibilità che non ha avuto per secoli. Nelle sue note di regia, afferma: “Ho voluto per questa produzione un numero equivalente di uomini e donne [...]. Spero che portando voci ed energie femminili nel mondo tutto maschile che Shakespeare descrive, si possa mettere in luce la vita metaforica dell’opera...”. Non spiega però quale sia la metafora...

E a me sembra che, a parte il fatto di ambientare nel remoto passato, per non incappare nelle maglie della censura dei suoi tempi, i problemi che la storia vede ripetersi in tutte le epoche e in tutti i paesi, Shakespeare non abbia inserito nel Giulio Cesare nessuna metafora nascosta. È il dramma ricorrente del potere, il conflitto tra ambizioni personali e valori ideali, o pretesi tali, in cui vedo piuttosto un’efficace, quasi estrema rappresentazione dell’antica mentalità romana, in cui la sconfitta era una vergogna da cancellare col suicidio.

Il problema di questa produzione è, da una parte, una certa incongruenza della messa in scena: il brano musicale che sottolinea l’assassinio non è l’unica. Perché vestire le sacerdotesse (ossia, le Vestali!) come muezzin musulmani? Perché far portare in scena il cadavere di Cesare in una bara di legno, quando il senso intero del famoso discorso di Marco Antonio è quello di avere per tutto il tempo quel corpo ai suoi piedi, nascosto dal mantello rosso di battaglia, per poi scoprirlo con gesto drammatico e infiammare così gli animi della folla? Scontate e alquanto banali, poi, le scene di combattimento, che il dramma originale non prevede.

Dall’altra, il cast non mi è parso all’altezza delle aspettative.

Solo Seana McKenna, da anni multipremiata protagonista dello Stratford Festival, conferma il suo straordinario talento: è pienamente padrona del ruolo di Cesare in tutte le sue sfumature. Ma, a dispetto del titolo, Giulio Cesare è in scena solo all’inizio del dramma, troppo poco quindi per salvare lo spettacolo.

Jonathan Goad (Bruto) si sforza di dosare la contraddizione tra il ruolo militare e un temperamento più incline alla riflessione filosofica che alla guerra – è un personaggio che in qualche modo anticipa Amleto –, combattuto tra l’amore per la Repubblica e la lealtà a Cesare. Ma la sua recitazione è debole, non fa abbastanza presa sul pubblico, manca di convinzione e pertanto non convince. Molto più efficace Irene Poole (Cassio, la vera anima della congiura), che esce chiaramente favorita dal frequente confronto con il collega.

Nel suo bel costume dorato, pur essendo una discreta attrice, Michelle Giroux non ha nulla, né nella voce né nei gesti, dei grandi Marco Antonio che abbiamo visti in passato. Lucio, Ottaviano, Cicerone, Catone, Casca sono interpreti appena nella media di un’importante compagnia teatrale come lo Stratford Festival. Brava nella sua breve parte Monice Peter, una Porzia intensa e convincente, mentre Jacklyn Francis (Calpurnia) è praticamente inesistente, sia come personaggio sia come interprete.

Nemmeno il pubblico canadese, notoriamente indulgente, mi è parso particolarmente soddisfatto: un venerdì sera, il Festival Theatre presentava occupati solo i due terzi dei posti, e gli applausi finali sono stati entusiastici solo per Seana McKenna.

Foto di scena di David Hou

 

JULIUS CAESAR, di William Shakespeare. Stratford Festival 2018.

Festival Theatre, Stratford, dal 31 luglio al 27 ottobre 2018.

Produzione dello Stratford Festival. Regia: Scott Wentworth. Scenografie e costumi: Christina Poddubluk. Luci: Louise Guinand. Musica: Paul Shilton. Suono: Thomas Ryder Payne. Combattimento in scena: John Stead

Personaggi e interpreti:

Giulio Cesare – Seana McKenna

Bruto – Jonathan Goad

Marco Antonio – Michelle Giroux

Cassio – Irene Poole

Ottaviano – Sophia Walker

Lepido – Roy Lewis

Cicerone – Marion Adler

Porzia, moglie di Bruto – Monice Peter

Calpurnia, moglie di Cesare – Jacklyn Francis

Lucio, schiavo di Bruto – Zara Jestadt

Casca – Joseph Ziegler

Decio Bruto – Brad Hodder

Trebonio – Déjah Dixon-Green

Cinna, poeta – Randy Hughson

Lucilio – Rylan Wilkie

Messala/Marullo tribuno – Tim Campbell

Catone il Giovane – Bahareh Yaraghi

Altri senatori, cospiratori, sostenitori e ufficiali di Bruto e Cassio, cittadini e soldati, tre sacerdotesse.