I volti della verità

 di Isabella Ferrara

Al teatro Bellini il capolavoro di Pirandello non cessa di porre interrogativi sull'idea stessa di verità. Ottima l'interpretazione di Filippo Dini, anche regista, Maria Paiato, Andrea Di Casa, Benedetta Parisi.

NAPOLI, 22 gennaio 2019 - Realtà, verità, pazzia; no, non credo possibile addentrarmi nella poetica e nella dialettica pirandelliana per affrontare lo spettacolo che porta egregiamente in scena Filippo Dini. Ci ho provato, ma quando credo di aver trovato una direzione logica, di essere giunta sulla via maestra per dipanare i dubbi e fare affermazioni sulla Verità, mi fermo. Sembro tornare sui miei passi, invece sto proseguendo su quella stessa strada, che però ne interseca altre, come un fiume che riceve affluenti e va a gettarsi in mare, si riempie di nuove piccole realtà e quindi di nuove e diverse verità. Mi ritrovo in un mare fragoroso, troppo generosamente profondo e ricco ed esteso per poterlo tutto indagare e suddividere e analizzare e sistemare in un’unica verità. Così è. Se mi pare.

In scena al Bellini, e spesso nella nostra vita, assistiamo impotenti a una tragedia che aveva trovato l’alveo in cui scorrere senza far troppo rumore per chi ne soffriva le conseguenze, ma la curiosità della gente trasformata dalla forza del pettegolezzo modifica la realtà, agita le acque per il solo gusto di sapere, di intromettersi nelle vite degli altri, o per l’esigenza e il bisogno di distrarsi dalle proprie miserie con le miserie altrui. Il problema è che poi si diventa cattivi; ci si ammala dello “sparlare” con la convinzione di dovere trovare motivi, cause, ragioni, verità. Ma perché? Perché? Urla nel suo sogno il Laudisi/Dini, egli stesso toccato e scosso da ciò che intorno a lui accade, lui stesso sconvolto dagli accadimenti che pure tenta di disinnescare, provando filosoficamente a spiegare che non serve, che non è necessario tanto patire, che la verità è ciò che ognuno vuol credere che sia.

Ci troviamo in un interno borghese, di un tempo senza tempo, di oggi come di ieri, come di domani. La vita di una cittadina, di un rione, di un condominio, viene arricchita e poi stravolta da tre nuovi arrivati: il signor Ponza, sua moglie e sua suocera, la signora Frola. I tre conducono una strana vita: la suocera abita lontano dalla figlia in un appartamento in centro; la figlia (Benedetta Parisi) vive segregata in periferia con il marito (Andrea Di Casa), il quale, però, fa continuamente visita alla suocera. I movimenti dei tre suscitano curiosità, stupore, incomprensione e la scoperta di una qualche verità che costoro nascondono impegna fino all’ossessione il gruppo di borghesi in casa dei quali ci troviamo ospitati per tutta la durata dello spettacolo. Una scenografia che pare scarna, ma che nasconde, con porte e strutture mobili, parti di scene a seconda del punto di vista, che svela verità diverse per posizioni e per occhi diversi. C’è un cameriere pazzo (per l'ottima interpretazione di Mauro Bernardi) chiaramente e facilmente identificabile come tale, quasi a volersi beffare di chi ragiona sulla verità e da savio la ricerca, ingannandosi sul risultato ottenibile.

C’è un uomo, Laudisi/Dini, su una sedia a rotelle, che non può camminare, o forse può, potrebbe se volesse, non si sa ancora la verità. Ci sono una famiglia e i loro amici perbene che riescono a diventare ossessivi, quasi violenti nella loro fame di verità. Ci sono tre esseri umani con le vite sconvolte, che vivono il loro dramma improvvisando e recitando il ruolo di pazzi, ma per amore reciproco. E poi c’è soprattutto Pirandello e tutta la sua attualità, la sua arte, la sua infallibile descrizione dell’animo umano con quegli stretti vicoli in cui perdersi, la sua scomoda ma inconfutabile analisi della mente umana, fin nelle stanze più buie.

Un gran lavoro di regia e di recitazione. La signora Frola di Maria Paiato strappa applausi. Il Laudisi dell’attore e regista Filippo Dini strappa anche risate. Perché c’è anche questo nello spettacolo, la comicità, il senso del contrario di Pirandello, e l’umorismo, il sentimento del contrario.

Passaggi che sembrano improvvisazioni, e che fanno ridere la sala, perché in quei momenti sono il contrario di ciò che ci si aspetterebbe da una scena carica di pathos per l’attesa della Verità, per l’entrata in scena di personaggi carichi di dolore. Ci si aspetta il dubbio, altri ragionamenti e valutazioni, e invece c’è la comicità di una situazione esasperata da Laudisi. Quando, e se, ti fermi a riflettere scopri l’umorismo pirandelliano che Dini ha con leggerezza trasposto sul palco. Quelle persone non provano piacere a trovarsi nell’ attesa e nel dubbio. Si vede chiaramente dai loro gesti, dalle espressioni, dalla loro concitazione e dal disordine emotivo che stanno soffrendo. Mentre ci regalano un siparietto di comicità sono lacerati da una verità inarrivabile, oppure, come Laudisi, dalla consapevolezza impotente, costretta su una sedia a rotelle, che quella folle ricerca del vero pazzo non porterà ad una solida verità, procurerà solo altro dolore e frustrazione.

La ricerca spasmodica di una sola Verità che accontenti e rassicuri tutti diventa “una inquisizione” che tormenta gli uni, che non la chiedono ma la subiscono, e gli altri, che la pretendono. Lo spettacolo si chiude con la comparsa di una donna che dovrebbe incarnare la Verità, che tutti toccano: “Qui c’è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato”.

Ci sono silenziose verità chiuse in un appartamento, e verità che urlano nelle strade, nelle televisioni, dai palchi dei governi. Verità individuali e segrete, e verità collettive. Fin dove bisogna rischiare la pazzia per cercare e pretendere la Verità?

A Voi, come pare?

 

foto Bepi Caroli