Invitto Belisario

di Roberta Pedrotti

G. Donizetti Belisario

Alaimo, El-Khoury, Roberts, Thomas

orchestra e coro della BBC maestro del coro Renato Balsadonna

direttore Sir Mark Elder

2 CD Opera Rara ORC49, 2013

L'eleganza grafica dei cofanetti Opera Rara, lo stile inconfondibile non vengono minimamente scalfiti dal passare del tempo e dall'incombere della crisi. Certo, rispetto ai piccoli gioielli che sembravano, oltre che degli scrigni di musica, anche dei pregiati oggetti d'arredamento, questa confezione è ottimizzata in modo più agile, economico ed ecologico, è possibile acquistare on line anche solo i singoli files audio, ma la consueta, raffinata, scelta pittorica di copertina custodisce sempre un prodotto curatissimo, di grande pregio scientifico, storico e artistico. Anzi, questo Belisario si attesta proprio come uno degli esiti migliori della storia recente della benemerita casa inglese. Incidere Belisario, innanzitutto, non è semplicemente un dovere documentario, un'operazione dedicata a studiosi e collezionisti, ma il sacrosanto tributo a un capolavoro della piena maturità di Donizetti, composto subito dopo Lucia di Lammermoor e da questa diversissimo per atmosfera, drammaturgia e tematiche, non per il livello di una partitura che seppe incontrare immediato successo pur senza adagiarsi su comode convenzioni nel tornare a una tragedia d'ambiente classico. Non c'è, infatti, un'aria solistica per il protagonista en titre, ma una netta di predominanza di pezzi d'insieme. Fra i numeri ufficiali della partitura troviamo solo due duetti, un terzetto (con coro) e un finale primo, tuttavia non solo questi ultimi sono di ampie e complesse proporzioni, ma anche le arie solistiche faticano a dirsi semplicemente tali: la cavatina di Irene si fonde con il blocco introduttivo, così come quella di Antonina si apre a un dialogo così pregnante con il pertichino del subdolo amante Eutropio da somigliare assai a un duetto; parimenti l'aria di Alamiro è animata da fondamentali interventi del coro e di Irene e, da ultimo, l'ampio finale che vede Antonina protagonista ha tale vivida varietà e articolazione da rifuggire a una classificazione che non sia semplicistica o, almen,o vaga. Il coro stesso ha un peso considerevole per quella che è prima di tutto una tragedia personale e anche nei suoi risvolti politici non sollecita mai le istanze di popoli interi, ma solo i rapporti di lealtà fra il singolo e lo Stato. Belisario è infatti un eroe etico che avrebbe affascinato Kierkegaard per il suo essere un patriarca, uomo e padre amoroso e fedele, ma anche un uomo di stato che per esso arriva sul punto di sacrificare il figlio. Come Laio di fronte all'oracolo che prevede il figlio uccisore del padre e amante della madre, come Priamo in seguito ai sogni premonitori di un erede che avrebbe causato la rovina di Troia, così Belisario fa esporre il neonato che in un incubo gli era apparso guidare i barbari alla conquista di Bisanzio; come Edipo e Paride, così anche il piccolo Alessi finirà per confermare la profezia, unendosi – con le migliori intenzioni – a un'orda di invasori e ritirandosi troppo tardi per impedire la morte dello stesso padre in battaglia. Belisario è un guerriero invitto, generale amato dai suoi uomini e dal popolo tutto, gode della piena fiducia dell'imperatore Giustiniano, al quale tributa incrollabile fedeltà. Ma soffre il peso dell'infanticidio che ha commissionato, e la sua sposa Antonina, come Clitennestra, cova per anni un odio feroce, un'ansia di vendetta che si realizza con la complicità di un amante. Colpito da una falsa accusa di tradimento, condannato ingiustamente, fatto segno del sadismo dei suoi nemici, abbattuto nella gloria dal destino, Belisario si trova cieco a vagare mendico con l'unica guida della figlia Irene, come Edipo con Antigone. È però, paradossalmente, nella cecità che si riscatta, che riconosce Alessi in quell'Alamiro ispiratore, nel momento del trionfo, di un affetto paterno disinteressato, senza che il reale legame di sangue fosse stato ancora rivelato. La cecità, come nel mito, dà modo di vedere oltre e porta a Belisario, anche nella morte, la pace, mentre Antonina è condannata a un angoscioso rimorso senza speranza.

Tale cupa materia, lontana dal romanticismo d'amori contrastati e patrie oppresse, così densa di classici richiami, parente di certo Shakespeare, necessita non solo di grandi belcantisti, ma soprattutto di interpreti sopraffini di grande intelligenza e sensibilità. Tale è Nicola Alaimo, che si identifica completamente con il ruolo eponimo, possiede nella voce l'autorità del condottiero e del patriarca, ma anche i tratti rudi del maturo guerriero. Il dolore antico dell'uomo che per la patria ha sacrificato un figlio alligna malcelato già nel trionfo; la sofferenza del tradito condannato alla cecità ha un'evidenza dignitosa e toccante, che si stempera nei momenti di squisita dolcezza del duetto con la figlia e nel ritrovato orgoglio al fianco della progenie contro l'invasore. L'equilibrio fra il rigore e il riserbo del pater familias, dell'integerrimo uomo d'armi e gli affetti, i tormenti, le disillusioni e le ferite dell'animo, il conflitto fra l'inflessibile legge etica, le leggi del cuore, le furibonde passioni della moglie, l'irruenza del figlio e le meschinità della corte trovano in Alaimo un interprete perfetto, conscio di uno stile che tutto filtra e traduce nell'intensità e nella cura del canto e della parola, resi come un'unità indissolubile. L'arte dell'interprete e del musicista illumina una figura che sviluppa la sua ragion d'essere fra duetti, terzetti e concertati, e che appare quindi ancor più drammatico, catalizzatore delle relazioni fra i personaggi e, pure, capace di affermare un'ancor più suggestiva introspezione. Per quanto la simbiosi con il testo di Alaimo resti insuperata, il cast cosmopolita mostra comunque una chiara e corretta pronuncia italiana e una buona cognizione di stile ed espressione. Piace poi che non si sia relegata Irene al rango di seconda donna, ma che – affidandola anche debitamente d un soprano – si sia fatto di quest'Antigone amorosa la vera controparte di Antonina. Camilla Roberts mostra qualche tensione nella sortita, ma più la parte richiede accorato lirismo, nel secondo e nel terzo atto, più il soprano s'impone per la dolcezza, l'eleganza, la schietta adesione ai sensi e alle esigenze della parte. Piace anche che la di lei madre Antonina non sia trasformata tout court in una fiera, disumanata erinni ultrice: Joyce El-Khoury ha, sì, voce più scura, matura, a tratti fosca, ma rimane un personaggio doloroso, che non può come madre condividere le ragioni etico patriottiche che hanno imposto a Belisario l'atroce esposizione del figlio. Il soprano canadese convince nei passi lirici come in quelli furenti e disperati, resi con il giusto mordente e la giusta partecipazione. Sigla nel complesso una prova notevole, degna del contesto, cui non nuocciono più di tanto occasionali segni di stanchezza in acuto, soprattutto nella micidiale stretta finale. Non meno buono, e anch'egli in parte densa e micidiale, il tenore Russel Thomas, Alamiro/Alessi fiero e accorato, dall'accento chiaro e incisivo, stilisticamente attento ed efficace, tecnicamente solido. Un acuto estremo è colto in modo un po' avventuroso, ma senza incrinare l'impressione di un esordio discografico molto promettente. Alastair Miles appare un po' invecchiato, ma ciò non disdice agli interventi dell'imperatore Giustiniano, il cui carattere si adatta benissimo al temperamento del basso britannico, presenza familiare nelle incisioni Opera Rara. Puntuali le parti di fianco, che spesso si separano dal coro per poche ma drammaticamente fondamentali battute, dall'Eutropio di Peter Hoare, all'Eusebio di Edward Price, dall'Eudora di Julia Sporsen all'Ottario di Michael Bondy e al Centurione di Darren Jeffery, cui spetta, come a un Nunzio classico, il racconto della battaglia e del fatale ferimento di Belisario. Il coro, diretto da Renato Balsadonna, e l'orchestra della BBC si confermano d'alta qualità e sir Mark Elder concerta con mano sicura e ottima teatralità. Il gusto anglosassone ama il suono brillante e marziale, gli ottoni e i fiati, ma la bacchetta non permette l'eccesso bandistico, iscrivendo sempre e comunque lo slancio delle strette, delle marce e dei cori in una completa visione drammaturgica, con tempi, dinamiche e colori ben calibrati, fino a un finale che, pur rispettando lo spirito furioso della disperazione di Antonina, sembra infine quasi ripiegarsi pudico su un dolore privatissimo. La lettura del libretto, infine, è un piacere, come sempre nel caso delle uscite Opera Rara: l'elenco delle tracce è accuratamente dettagliato secondo i numeri di partitura; il saggio di Jeremy Commons è pubblicato solo in inglese, ma merita uno sforzo anche da parte dei non anglofoni; il riassunto è in quattro lingue, italiano compreso, i versi di Cammarano sono proposti in originale con la tradizione inglese a fronte. Una ricca galleria fotografica documenta simpaticamente le sedute di registrazione, lasciando trasparire un'atmosfera di passione e familiarità, una serena comunione d'intenti che sfocerà nella splendida realizzazione di una delle più affascinanti e complesse tragedie donizettiane, in un'opera profonda e serrata, che non ci si stancherebbe mai di ascoltare.

Leggi l'intervista al curatore dell'edizione critica Ottavio Sbragia