L'arpa d'or e i nembi frementi

di Roberta Pedrotti

Giuseppe Verdi

Nabucco

Theodossiou, Nucci, Zanellato, Ribeiro, Chiuri

direttore Michele Mariotti

regia Daniele Abbado

Parma, Teatro Regio, ottobre 2009

DVD Unitel Classic 720408, collana TUTTO VERDI, 2012

Due sono gli errori fondamentali che un direttore può commettere nell'approccio a Verdi, opposti ma originati da un medesimo fraintendimento e da una medesima svalutazione: o banalizzarlo interpretandone nel modo più superficiale la popolarità e la tradizione; o, viceversa, tentare di nobilitarlo travisandone spesso e volentieri il linguaggio. Ma Verdi non ha bisogno di essere nobilitato con un intervento esterno, e patisce i luoghi comuni nazionalpopolari. Verdi non è altri che Verdi, e come tale deve essere eseguito, con stima, amore e rispetto per l'Autore. Questo è ciò che realmente sanno fare pochissimi direttori, e Michele Mariotti è uno di questi: la sua concertazione di Nabucco costituisce il principale motivo d'interesse della produzione – massime in sede di festival – e della sua testimonianza in un ciclo di DVD in uscita per le celebrazioni del bicentenario del sommo operista italiano. Mariotti ha diretto per la prima volta il titolo verdiano nell'autunno del 2008 nello stesso ambito del Festival che lo riprese l'anno successivo con qualche variazione nel cast per la registrazione del DVD. L'approccio iniziale, già assai interessante, era nel frattempo maturato approdando a una lettura pienamente compiuta, perfetta sintesi fra pensiero e realizzazione, fra spirito belcantista e incalzante novità drammatica. Nabucco è infatti saldamente ancorato alle sue radici e alla sua epoca, Mariotti ne valorizza ogni crescendo con una pulizia e una fluidità di gesto che spazzano via senza scampo molte letture quarantottesche e troppi maldestri passaggi dinamici e agogici che sfociano in impeti furiosi affatto esteriori. Al contrario il calibro perfetto di Mariotti vede montare la tensione e lo slancio con grado senza mai lasciarsi travolgere dall'eccesso, ma travolgendo viceversa con ben altra energia e ben altra efficacia. Se è raro ascoltare crescendo così ben realizzati perfino fra gli specialisti rossiniani, ancor più lo è ascoltarli in Verdi, e ammirare le cabalette staccate senza furia inutile, ma parimenti vive e incisive, con dettagli orchestrali sempre precisissimi: basti ascoltare le prime battute di “O prodi miei, seguitemi”, quando nell'allusione alle fanfare militari che accompagnano i proclami di rivalsa di Nabucco gli interventi di tromba e flauto soli sono netti e ben evidenziati (sia anche un plauso all'ottima orchestra del Regio, qui in stato di grazia). Ecco cosa significa servire Verdi al meglio: comprendere che la forza di quella pagina viene da una scrittura musicale fatta di accenti, di strumentazione, di dinamiche che devono essere tradotti sulla base della pagina scritta e delle cognizioni stilistiche sull'epoca e sull'autore. L'effetto non deve essere imposto per tradizione e abitudine sulla musica, questa non deve essere ripensata attraverso stravaganze che dimostrerebbero solo l'ego, o l'estraneità, del direttore. Mariotti conosce i codici del belcanto e sa bene quali siano le difficoltà delle variazioni nelle riprese delle cabalette verdiane, che non riconduce alle pratiche virtuosistiche di altri autori, ma rende – come pochi grandi hanno saputo fare – il senso della ripetizione attraverso l'accento, il fraseggio, la dinamica, il colore. In tanta cristallina precisione sentiamo però fremere il dramma, sentiamo come i numeri trapassino naturalmente l'uno nell'altro senza soluzione di continuità, con il passo incalzante della nuova drammaturgia che Verdi innesta in una solida tradizione che non viene rinnegata, bensì condotta a nuovi e diversi traguardi. La parola, anzi, ci pare curata anche più del solito, il rapporto fra gesto musicale e gesto teatrale, fra canto e dramma approfondito come di rado si è ascoltato, proprio perché la cognizione moderna del belcanto non come mero edonismo musicale, ma come linguaggio drammaturgico evoluto permette di illuminare pienamente l'opera di Verdi fra radici e ultimi frutti.

Così anche la compagnia di canto, nel complesso non straordinaria in assoluto, dà decisamente il meglio di sé con omogenea adesione alla linea dettata dal podio. Leo Nucci resta un'indiscussa certezza a dispetto del trascorrere del tempo, canta con partecipazione, non teme le puntature e i passi più accesi, né i cantabili più introspettivi e commossi. Certi vizi e certe soluzioni abituali (portamenti, qualche inflessione nasale) sono contenuti grazie a Mariotti, con il quale si percepisce un'ottima intesa musicale nella prospettiva d'un maggior rigore. E sappiamo che Nucci, alfiere della tradizione vocalmente più generosa, ama anche confrontarsi con direttori esigenti e di grande spessore intellettuale e artistico. E se Riccardo Zanellato non è stato dotato dalla natura di un mezzo privilegiato, è interprete intelligente e solido che risponde bene alle sollecitazioni di Mariotti sia nella grande cavatina del primo atto, sia nella concentrazione di “Vieni, o Levita” e nell'esaltazione profetica del finale terzo. Assai ben detto, poi, l'invito a Fenena a cogliere la palma del martirio. Questa è affidata a una timbrata e sicura Anna Maria Chiuri, mentre la sorellastra Abigaille offre a Dimitra Theodossiou ampio spazio per dare sfogo a un vulcanico temperamento che il podio riesce comunque sempre a contenere nei binari dello stile e del gusto. Piuttosto si cominciava già a intendere come l'abuso della generosità naturale di uno strumento in verità, però, sostanzialmente lirico avrebbe portato all'attuale declino quello che alla fine degli anni '90 del secolo scorso era apparso come un autentico fenomeno. In particolare l'acuto, da sempre piuttosto tagliente, appare già decisamente avventuroso, mentre la mancanza di autentica ampiezza e di un sostegno ortodosso nelle mezzevoci è temperata dalla convinzione dell'interprete e dall'ottima gestione degli equilibri sonori da parte di Mariotti, che permette al soprano di uscire a testa alta dal cimento. Qualche problema in più lo denuncia l'Ismaele di Bruno Ribeiro, che avrebbe bella voce e bella figura, ma forza l'emissione invece di cercare un migliore appoggio e una migliore proiezione. A posto gli altri e ottimo come sempre il coro preparato da Martino Faggiani. Ottima anche la regia video di Tiziano Mancini, che fa miracoli per vitalizzare l'allestimento piuttosto asettico firmato da Daniele Abbado. A dispetto dell'ottimo lavoro di montaggio e macchina da presa, non sempre ci riesce, a dire il vero, anche perché l'impostazione atemporale fra protagonisti in abiti antichi e il coro di ebrei novecenteschi (i quali devono anche intonare i versi dei nemici assiri con evidente e irrisolta dicotomia fra vista e udito) non trova una chiara e sensata giustificazione, né s'inserisce in un preciso disegno drammaturgico. Sottotitoli in ben otto lingue, testi in quattro (italiano compreso), lista tracce chiara e dettagliata completano l'opera insieme con un bonus di dieci minuti che si rivela essere una semplice trama dell'opera narrata in modo abbastanza impersonale, evidentemente per delineare una linea editoriale uniforme nella collana, anche se francamente avremmo preferito la voce diretta dei protagonisti. Un posto d'onore nell'integrale verdiana presentata dal Regio di Parma e da Unitel val bene, comunque, per la lettura di Mariotti, un esempio luminoso di come si dovrebbe intendere Verdi dal podio all'alba del terzo millennio.