Arena gremita, trionfo di danza

di Irina Sorokina

Torna l'appuntamento annuale con il galà di danza Roberto Bolle and Friends all'Arena di Verona. Grande livello esecutivo, ma esiti alterni nelle scelte coreografiche.

Verona, 20 luglio 2022 - Ogni anno il rito si rinnova. Ogni anno gli spettatori per cui assistere ad uno spettacolo in Arena è un mix eccitante di dovere e piacere trovano nel cartellone una sola data alla quale non si può rinunciare. Ogni anno il grandioso palcoscenico areniano viene liberato da piramidi, idoli, sfingi, castelli medievali, montagne, interni dei palazzi sontuosi e cose del genere per lasciare lo spazio sufficiente alla grande danza con l’immancabile presenza della stella più luminosa di quest’arte effimera: Roberto Bolle. Il grande ballerino italiano che per anni incarnava l’ideale tipico del balletto classico, principe azzurro, continua a mietere i successi fuori dal formato tradizionale, gira l’Italia in compagnia di colleghi, star internazionali da cinque continenti, e propone una parata di brani classici e contemporanei. Nell’anno in corso la formula ben collaudata ha confermato la propria efficacia e la serata di ieri in Arena di Verona è stata particolarmente entusiasmante.

Tre Preludi, sulla musica di Sergej Rakhmaninov (op. 32, n. 10, op. 23 n 1, op. 32 n.) suonata dal vivo dal pianista Marco Samuel e coreografata da Ben Stevenson, è una scelta piuttosto tradizionale per aprire la serata, dal fascino discreto. Niente di nuovo, tra la sbarra piazzata sul proscenio e due ballerini, lui, Roberto Bolle, e lei, Fumi Kaneko, in ”divisa” accademica per sottolineare le linee di due corpi perfetti. Le tappe ben conosciute del lavoro alla sbarra per passare al contatto, prima timido e poi ravvicinato: un lavoro cesellato puramente accademico, cose viste tante volte, ma sempre nuove grazie all’intensità dell’interpretazione di due étoile. Quattordici minuti sembrano pochi attimi.

Segue una parata di brani “sempre la stessa e sempre nuova”, usando l’espressione di Puškin, piacevolmente nutrita senza limitarsi a presentare dei sempreverdi e ben conosciuti passi a due da Il Corsaro, Don Quisciotte e Il lago dei cigni. Nel primo, Anastasia Matvienko e Vadim Muntagirov, lei nel passato la miglior Giulietta e Cenerentola del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo e attualmente una free lance internazionale e lui, primo ballerino del Royal Ballet di Londra, si rivelano appartenenti a due mondi piuttosto diversi; lei tecnicamente sicura ma a tratti manierata, lui elegante e raggiante. La Matvienko fornisce anche un’interpretazione apprezzabile nel celebre assolo La morte del cigno coreografato da Mikhail Fokine sulle note di Charles-Camille Saint-Saёns e suonato dal vivo da Marco Samuel e Sara Airoldi.

Il lato artistico dell’arte del balletto dimostra segni di sofferenza evidenti se confrontato con quello tecnico nel passo a due di Don Quisciotte presentato da Adeline Pastor dell'Aalto Ballet di Essen e Osiel Gouneo del Bayerisches Staatsballett di Monaco di Baviera. La strada seguita non è la ricerca di eleganza, ma di forza: i calorosi applausi confermano che questo duetto non solo mai coreografato, ma nemmeno sognato dal celeberrimo direttore artistico del balletto imperiale san pietroburghese Marius Petipa è diventato un fenomeno da circo ormai. Salti e giri, giri e salti, sempre puntati alla dimostrazione della prodezza fisica: la muscolosa ma dalle gambe corte Pastor e l'altrettanto muscoloso, ma dalle proporzioni armoniose Gouneo sono soltanto un’altra conferma di questa ormai non invertibile tendenza. Se si può innamorarsi di Gouneo in possesso di un fascino maschile indiscutibile, non si può certo compiere lo stesso atto nei confronti della Pastor, “La Tourneuse” dei nostri tempi: così venne soprannominata una ballerina del primo Ottocento, star dei teatri foranei parigini, la cui “arte” stava nell’uscire, piazzarsi, girare più di quaranta volte e fermarsi all’improvviso, senza una minima espressione sul volto durante queste quattro azioni.

Tutt’altro effetto produce il passo a due ”nero” del Lago dei cigni in cui ha regna la giapponese Fumi Kaneko del Royal Ballet di Londra, dal corpo perfettamente scolpito e dalle movenze raffinatissime, al servizio del personaggio anche nell’ambito di un solo brano. La maliziosità dello sguardo combinato all’impeccabile precisione di ogni singolo movimento, la cantilena infinita delle braccia che nella tradizione della critica di balletto sovietica si definiscono “parlanti”, accanto ai vertiginosi trentadue fouettée (a tratti imprecisi) la rendono regina indiscussa della serata, anche grazie al saggio sostegno del partner e cavaliere ideale Vadim Muntagirov.

Suscita grandi applausi e quasi le lacrime l’esibizione di Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, primi ballerini del Teatro alla Scala, anche per la loro scelta molto apprezzabile, il passo a due da Romeo e Giulietta nella versione del Sir Kenneth MacMillan. La coppia milanese, da sempre votata a dimostrare i valori quali purezza, morbidezza e leggerezza, aggiunge alla perfezione delle linee e il partnering perfetto qualcosa in più, la proposta del matrimonio a Nicoletta Manni da parte di Timofej Andrijashenko fatta a sorpresa in presenza del pubblico a conclusione della serata.

Gli altri “friends” coinvolti nell’avventura veronese sono di altissimo livello, prima di tutti Melissa Hamilton del Royal Ballet, che da sempre forma con Roberto Bolle una coppia perfetta. Non è la prima volta che i due artisti presentano il duetto da Caravaggio coreografato da Mauro Bigonzetti in cui sviluppano un’intesa addirittura commovente. Il gioco complesso di due corpi sulle note di Bruno Moretti da Claudio Monteverdi è un perno importantissimo della serata; stavolta la ballerina irlandese e l’étoile italiana raggiungono un livello ancora più alto dell’intesa, tra le linee raffinate di lei e lo spirito nobile di lui: Caravaggio risulta il più bel brano della serata. Penumbra è un altro duetto coreografato da Remi Wörtmeyer sulla musica di Rachmaninov.

Tra gli assoli, In your black eyes sulla musica del compianto Ezio Bosso, un brano in cinque quarti, piuttosto lungo, ma da un fascino discreto anche se piuttosto ripetitivo. Se l’esibizione di Roberto, elegantissimo in pantaloni neri e camicia nera trasparente, ai limiti dell’espressività nelle movenze che si associano all’insaziabile voglia di vivere riesce a coinvolgere, la coreografia di Patrick de Bana risulta scarsa per la durata di ben undici minuti.

Sky breaking, clouds falling sulle note di Mason Lindahl, viene coreografato e interpretato da un magnifico Toon Lobach, olandese di soli venticinque anni, artista del Nederlands Dans Theater da una inconfondibile personalità e campione autentico nei giri e nei salti.

Non proprio felice la conclusione della serata in ogni caso “condannata” al successo vista la popolarità di Roberto Bolle, ormai leggenda vivente, e il grande livello tecnico e artistico di molti “friends”: il pezzo intitolato Duel composto da Giuseppe Cacciola per la batteria, suonato da Ezio Zaccagnini e coreografato da Massimiliano Volpini, sembra la fotocopia di In your black eyes con la differenza che stavolta si tratta di un duetto e non di un assolo. Musica ripetitiva, sequenze coreografiche insopportabilmente ripetitive create per un confronto amichevole tra Roberto Volle e Osiel Gouneo che si sfidano a torso nudo e addosso i pantaloni bianchi larghissimi che non giovano certamente alla linea. Anche in questo caso si esagera per la durata del brano, di circa otto minuti e non ci si riesce a produrre un buon disegno luci (light designer Valerio Tiberi) che accecano continuamente gli spettatori, senza parlare dell’impossibilità di cogliere il senso di tali movenze.

Alla fine, un grande successo per tutti. Il tempo sembra di non avere potere su Roberto Bolle. Sempre bellissimo, sempre in forma, ma soprattutto nobile e pronto a donare emozioni autentiche al pubblico che lo segue e lo ammira. Roberto nazionale, orgoglio nazionale. È già annunciata la presenza dello show nel cartellone del prossimo festival veronese, che compirà ben cento anni.

P.S. Ci sentiamo obbligati si tornare al discorso dolente di attribuzione precisa dei passi a due e delle variazioni di repertorio (vedi la recensione del Roberto Bolle and Friends, 03/08/2021), purtroppo, anche stavolta il Passo a due del Corsaro e Passo a due di Don Quisciotte sulla locandina sono attribuiti a Marius Petipa e la musica del primo a Riccardo Drigo. Ricordiamo che di Drigo sono l’adagio e la coda, mentre le variazioni eseguite stavolta sono rispettivamente di Julius Gerber (maschile, proviene dal balletto Trilby) e di Ludwig Minkus (femminile, in prestito da La Bayadère dove la balla Gamzatti).