L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Contemporaneo è il nuovo

di Michele Olivieri

Alla Scala, quattro firme di assoluta originalità, appartenenti a differenti generazioni e universi creativi, hanno celebrato la bellezza della danza con un programma tra sogno e realtà, in cui l’aspetto e l’atteggiamento degli eclettici danzatori fra cui Roberto Bolle concentrano la qualità per restituirla agli astanti, appagando l’animo e divenendo oggetto di meritata ammirazione.

MILANO 4 febbraio 2023 – È ricomparso sul palcoscenico scaligero un programma interamente dedicato alla disciplina contemporanea. Una grande occasione, sia per il valore dei coreografi invitati, sia per il valore sul piano internazionale della compagnia diretta con osservanza meticolosa da Manuel Legris. Di fronte ad una sala colma in ogni ordine di posto si è compiuto nuovamente il prodigio: un drappello di ben preparati solisti e primi ballerini, belli, coraggiosi, precisi e soprattutto giovani hanno trasfigurato il palcoscenico, dilatandone i suoi spazi con una prorompente tensione poetica che ha raggiunto fin da subito i presenti.Il programma non si presenta facile: un susseguirsi di passi con un cambio di registri e linguaggi, amalgamati tra loro dalla coscienza professionale e dal trasparente amore per la danza. Agli spettatori non è arrivata solo la tecnica o l’astrattismo ma è giunto appieno il fascino di quest’arte onirica, con una appropriata capacità di sintesi interpretativa.

Difficile è concentrare con poche parole i quattro brani eseguiti, che in fondo sono stati vissuti come un’unica avventura di bellezza, legando in maniera opportuna il repertorio moderno. Non c’è stato un cedimento né una sbavatura.

David Dawson ha una sua concezione del teatro e della danza: immagine sonora (scene di John Otto), musicale (come non lasciarsi trascinare dalla incalzante musica di Ezio Bosso?), luminosa (a firma di James E. Ingalls), potente (nella drammaturgia), sensitiva (nell’intenzione), pulita (nelle linee). Tutto ciò lo si è visto nel fluire del pezzo Anima Animus, a nostro avviso la punta di diamante dell’intera serata. Le molteplici forme elaborate dal coreografo britannico costruiscono una palpitazione ininterrotta di istanti privilegiati che costituiscono il suo acclamato stile (coadiuvato dagli assistenti Christiane Marchant e Rebecca Gladstone). La danza infatti non è solo l’arte del movimento, ma soprattutto il sapere del movimento. Non solo il gesto aggraziato, ma anche la forza interiore delle cose che modifica le forme e rende la danza perennemente una scoperta. Danza che è anche il riflesso di un universo – quello coreutico – in continua trasformazione. Applausi meritatissimi per Nicoletta Manni (morbida, armoniosa), con gli altrettanti impeccabili Maria Celeste Losa, Gioacchino Starace, Rinaldo Venuti, Mattia Semperboni, Christian Fagetti, Alessandra Vassallo, Letizia Masini, Linda Giubelli, Marta Gerani, nei costumi di Yumiko Takeshima.

Dopo il primo intervallo è stata la volta del coreografo spagnolo Nacho Duato (assistente José Carlos Blanco) con Remanso, che ha visto la palpitante attesa di buona parte degli spettatori per l’esibizione di Roberto Bolle, in una fantasia che sfrutta le emozioni e il cantare l’amore per la vita, secondo una precisa linea estetica che è propria di Duato, nella volontà di sfruttare appieno le relazioni umane e il loro intreccio. Creato nel 1997 all’American Ballet Theatre, per la prima volta ora è presentato alla Scala. Il pezzo dal lato puramente coreografico coinvolge, in molti punti. Nacho Duato ha usato la rosa e le mani come simbolo di passione, amore e sensualità. Al fianco dell’étoile due giovani dall’evidente talento, quali Domenico Di Cristo e Darius Gramada. I tre danzatori appaiono da un grande pannello di tela che cambia colore, a mo’ di separé, posizionato al centro del palco, e poi scompaiono dietro. L’ideazione si muove fra opposizioni, prese, rispecchiamenti, simmetrie e asimmetrie in cui gli assi e le linee si spezzano per poi ricomporsi. È giocoso, come del resto lo è il fiore pieno di speranze. Duato di questo brano ne è anche scenografo e costumista. A coronare la creazione l’elegante maestro Takahiro Yoshikawa con l’altrettanto elegante sua esecuzione al pianoforte dei Valses poéticos di Enrique Granados (composti tra il 1886 e il 1887 e dedicati a Joaquín Malats, pianista e compositore spagnolo contemporaneo di Granados). Da notare che questo è l’unico dei quattro pezzi in programma con musica dal vivo, i restanti sono presentati su base registrata.

A seguire, dopo una breve pausa a mezze luci di quattro minuti, il sipario si è aperto sul pezzo Solitude Sometimes del coreografo tedesco Philippe Kratz (assistente Casia Vengoechea) in prima rappresentazione assoluta. Le sue esperienze al Tanztheater tedesco ed in seguito ad Aterballetto lo hanno condotto a una evidente decostruzione e ricomposizione del concetto di movenza. La sua danza è fatta con il corpo e nel corpo, il ritmo diventa contraltare del respiro, frusciante ed androgino nei passi sulle tavole del palcoscenico. La scelta musicale di matrice elettronica trova nel cantautore Thom Yorke e nei Radiohead un parallelismo sincronico tra le due arti. A ciò si aggiunge lo strumento “fisico” che mette a nudo l’istinto dell’uomo e dell’artista. Nell’intimità, ogni ballerino, isolato dal contesto, assume una propria identità secondo il proprio sentire e il proprio percorso. Il balletto di venticinque minuti raggruppa un folto numero di esecutori: quattordici artisti che pongono in risalto la discesa agli Inferi di Ra, il dio del sole, il quale si purifica durante la notte e riemerge in superficie dando vita ad un nuovo giorno. La mitologia verte inoltre su altri temi, come quello imprescindibile (e di forte attualità) nella lotta per la vita nell’incessante dilagare del tempo. Un’araba fenice moderna, cosparsa di glamour, che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte, giovane e bella, a simboleggiare il potere della resilienza. Si viene trasportati con rimandi evocativi all’antico Egitto, soprattutto nei passi calati in posizioni simmetriche e agli impulsi melodici, forse ad incarnare le vibrazioni della natura con la sua energia spirituale. Carismatico il giovane danzatore Navrin Turnbull e a seguire Nicoletta Manni, Camilla Cerulli, Alessandra Vassallo, Stefania Ballone, Linda Giubelli, Timofej Andrijashenko, Domenico Di Cristo, Franck Aduca, Andrea Crescenzi, Saïd Ramos Ponce, Andrea Risso, Gioacchino Starace, Rinaldo Venuti. Tutti così duttili, poliedrici e soprattutto in grande forma. La buona riuscita è data anche dalle calde luci di Carlo Cerri e dalle scene dello stesso Cerri firmate insieme a Kratz, con i costumi di Francesco Casarotto. Da menzionare il psichedelico e accattivante video design, sempre firmato da Cerri con OoopStudio.

Dopo il secondo intervallo la scena si veste di sipari in continuo movimento, dall’alto verso il basso, da destra a sinistra, che in un nascondino geometrico si fanno piccoli, poi grandi, scorrono, si alzano, cambiano l’inquadratura, scendono, inscatolano il fondale per poi restituire nuovamente il largo campo visivo. Tutto ciò in Bella Figura di Jiří Kylián (assistenti Lorraine Blouin, Cora Bos Kroese, Stefan Zeromski). Il coreografo ceco, tra i più prolifici e inventivi dal dopoguerra ad oggi, gioca con i concetti di performance, modellando come fossero creta i danzatori prescelti (Stefania Ballone, Chiara Borgia, Chiara Fiandra, Benedetta Montefiore, Giulia Schembri, Emanuele Cazzato, Andrea Crescenzi, Matteo Gavazzi, Andrea Risso) sviluppando la creazione sul concetto pieno di teatralità. Movimenti, dinamiche, spostamenti, intenzioni e gestualità vanno di pari passo alla bellezza. Si riscontra una fioritura baroccheggiante come se i ballerini fossero parti di una scultura o elementi di un affresco pittorico, nelle tinte sgargianti dei costumi (Joke Visser) e in quelle della nudità collegate al colore rosso, sinonimo di vitalità ed energia. Tra idee, sorprese e sentimenti c’è un armonico accordo in cui i nove interpreti si esprimono con naturalezza, franchezza, e sicurezza di sé. La concordia è solenne tra classico e contemporaneo. Scene e luci dello stesso Kylián (quest’ultime riprese da Kees Tjebbes con la supervisione di Joost Biegelaar), musiche firmate da Lukas Foss, Giovanni Battista Pergolesi, Alessandro Marcello, Antonio Vivaldi, Giuseppe Torelli.

Ad assistere tra il pubblico, una presenza d’eccezione, come a voler celebrare la beltà della rappresentazione, Sylvie Guillem.


 

 

 
 
 

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