Indelebile

di Michele Olivieri

Nel cartellone di FOG Triennale Milano Performing Arts, convinti applausi per Dimitris Papaioannou e Šuka Horn, capaci con potenza evocativa di penetrare l’animo umano tra danza, scultura, musica, installazione, pittura.

MILANO 12 febbraio 2023 – Dimitris Papaioannou ha la capacità di trasformare l’immaginazione in un potente mezzo di comunicazione, sfruttando tutte le potenzialità architettoniche della rappresentazione, fino a spingersi all’estremo in un gesto libero e audace. Levigando i gesti, i corpi, i movimenti in una visione artistica totale, l’acclamato coreografo prende per mano il pubblico della Sala Grande del Teatro dell’Arte, guidandolo in una fantasticheria, quasi fosse una chimera che racchiude un mondo dentro di sé: non solo la leggendaria creatura nata dalla mitologia greca ma anche un motto che esprime qualcosa di tremendamente irreale o fantasioso nella sua concretezza.

Nato durante il periodo di lockdown, INK, è stato presentato a Milano in una versione inedita, interpretata dal prodigioso Šuka Horn e dallo stesso Papaioannou, il quale gode di una considerazione talmente alta che la critica contemporanea lo ha spesso indicato come fonte d’ispirazione. Il duetto appartiene a quel genere di opera globale che si rifà al simbolismo e all’espressionismo, con echi surrealisti. Papaioannou, infatti, si rifà ad una dimensione che si nutre costantemente di simboli. Il suo stile, al pari di un pittore, è caratterizzato da accostamenti cromatici puri e da una pennellata decisa, con una particolare attenzione al dettaglio. Realizza una composizione con al centro l’interesse per il tema umano. Sebbene i due personaggi sembrino appartenere a una dimensione d’illusione, in realtà ognuno di essi si rifà ad un concetto ben preciso. Ad apertura di sipario il palcoscenico presenta misteri che si dispiegano di fronte allo spettatore nel corso dei sessanta minuti. Riflessioni sul mondo, uno sguardo oscuro sul passato, senza tralasciare il presente e le sorti del futuro. All’inizio le espressioni sono ambigue, non si riesce a comprendere cosa stiano pensando o facendo i due performer. L'atmosfera misteriosa della prestazione prosegue nella scelta di prendere a prestito l’acqua come elemento fondante di tutto. Essa rappresenta, con assoluta chiarezza, il fondamento della vita che il coreografo trasforma nel tramite (e nel gioco) per affascinare il pubblico, nell’inventare situazioni intrise di visioni e allucinazioni. Getti, zampilli, gocce, fiotti, schizzi, spruzzi scorrono senza frontiere, producendo un’energia che non viene mai meno tra palco e platea.

INK si può ben definire una caccia all’uomo, dove lo stesso Papaioannou si trasforma in un moderno Achab capace di trascinare con sé verso l’abisso, anche con momenti di tenerezza, tanto da rimanere catturati dal suo sguardo asciutto e penetrante e dalla sua fisicità solitaria ed oscura. Ma Papaioannou prende anche le sembianze di un contemporaneo Barnum, lasciando intravvedere un domatore con la sua giacca rossa (unico colore presente in scena al di fuori del nero e del color carne) in grado di piegare l’umanità al suo volere. Sembra quasi che l’artista greco voglia incendiare gli animi per lottare contro le forze della natura e lo fa nella finzione con il suo giovane ed intenso co-protagonista, per il quale si trasforma in amante maturo e al contempo in padre. Ciò avviene per mezzo di una camaleontica e carismatica forza espressiva. Sicuramente l’elemento marino è metafora della “sua casa” tanto potente da tracciare la costante dello spettacolo. Il terzo protagonista è un polipo, non a caso abitante per eccellenza degli abissi, tanto da indicare gli spostamenti scenici dei due performer: movimenti agili, rapidi e astuti, dettati da una tersa intelligenza teatrale e dalla capacità di elaborare strategie (qui torna in gioco la simbologia). L'iconografia è presente anche nell’unico momento in cui la luce si fa calda, solare e avvolgente – caravaggesca – con Šuka Horn circondato dal grano a simboleggiare il ciclo delle rinascite nel suo rimanere sepolto sotto terra prima di venire al mondo. E questo per Papaioannou rappresenta il passaggio della coscienza dall’ombra alla luce e il conseguente desiderio di fecondità.

Il titolo, tradotto dall’inglese in inchiostro, rimanda allo scudo che il mollusco spruzza come tecnica difensiva verso i probabili predatori. Il polipo diventa inoltre un figlio da cullare, un emblema per coprire le nudità, o come nel finale la raffigurazione del tipico gesto dei pescatori che lo sbattono sugli scogli con violenza, quasi fosse un crudele rito, per renderlo più tenero possibile. In sottofond,o il fruscio gracchiante della puntina su vecchi dischi rimanda a sonorità archetipiche. Gli applausi sono convinti, ripetuti, entusiasti e il profondo inchino dei due affiatati protagonisti nel raccoglierli diventa anch’esso un momento di assoluto teatro. Quasi a voler dire che la nostra anima e la nostra immagine sono tutto ciò di cui disponiamo.