L’irresistibile Fille

 di Stefano Ceccarelli

L’Opera di Roma porta in scena la storica coreografia, efficace e riuscita, de La fille mal gardée a firma di Frederick Ashton. A dirigere l’orchestra del Costanzi è Philip Ellis, mentre i ruoli principali sono danzati da Rebecca Bianchi (Lise) e Daniil Simkin (Colas). Lo spettacolo è un successo.

ROMA, 3 maggio 2023 – Torna al Costanzi, dopo quasi un trentennio, La fille mal gardée, balletto irresistibile per la sua vivace pantomima ed il tema squisitamente comico: quello di una ragazza peperina e vivace che vuole scegliersi lo sposo, non cedendo alle imposizioni della madre che la vorrebbe accasata con un nobile, sì, ma sciocco e poco avvenente. Un balletto rivoluzionario (non solo per l’anno di rappresentazione), nel senso che porta sulla scena la ribellione adolescenziale all’autorità (e, questo, sarebbe poco) e la vittoria della borghesia sulla nobiltà nell’unione finale di Lise con Colas.

La coreografia è quella, storica, di Frederick Ashton, già nota a chi fra il pubblico romano era presente all’ultima Fille del 1997; oggi è Jean-Christophe Lesage a riprendere tale gioiello qui a Roma. La coreografia di Ashton, infatti, è di quelle giustamente definite storiche, per la continua freschezza delle idee, come pure l’inventiva scenica: l’intero corpo di ballo si diverte palpabilmente e fa divertire il pubblico in sala, che mostra, naturalmente, di gradire lo spettacolo. Il ruolo del titolo, Lise, è danzato da una Rebecca Bianchi che ci mostra anche un lato più specificamente attoriale, oltre ai suoi mezzi meramente coreutici. La Bianchi è chiamata al difficile compito di portare in scena un carattere particolarmente marcato, ben scontornato, peperino, ribelle, dolce, sensuale: e ci riesce appieno. Parlando proprio dell’aspetto pantomimico, la Bianchi piace in tutta una serie di piccoli sketch che condiscono la coreografia, come il passaggio in cui Lise, nel II atto, fantastica sul suo futuro di sposa; la scena della zangola, che sbatte controvoglia, controllata a vista dalla madre; o quella in cui danza, contemporaneamente, con Alain (il suo spasimante indesiderato) e Colas, senza che il primo si accorga di nulla; ma come dimenticare, infine, i tentativi di togliere dalla tasca della madre, addormentata, la chiave per uscire di casa e raggiungere il suo Colas nel II atto? Insomma, la Bianchi è una Lise a tutto tondo, come pure per quanto concerne l’aspetto coreutico. Eterea, delicata, la Bianchi sa oscillare fra ingenuità, civetteria e seduzione. Al netto di qualche presa poco felice, la performance della Bianchi è eccellente. Stupendo il cosiddetto pas de ruban con Colas nel primo quadro del I atto, quando i due intrecciano in complicate forme geometriche un nastro rosa; ma anche il pas de deux finale, più classico nella sua struttura, che vede la Bianchi leggera nella sua variazione. Il ruolo di Colas, l’innamorato di Lise, è danzato da Daniil Simkin, étoile ospite. Dotato di una tecnica sopraffina, di pulizia di movimenti, precisione, slancio, Simkin riesce anche a calarsi nei panni di un contadino che cerca in tutti i modi di ottenere l’amore di Lise contro l’opposizione strenua e costante della Vedova Simone, madre di Lise. Magnifica, in tal senso, la variazione finale del pas de deux, condita da una spumeggiante serie di fouettés. Il ruolo della Vedova Simone è danzato, come di consueto en travesti, da Giuseppe Depalo, che si cala magnificamente nei panni della vecchia, sfoderando tutto l’armamentario di movenze più divertenti per tratteggiarla. È difficile isolare un momento particolare, giacché Depalo brilla sempre; il più iconico, forse, è stata la danza con gli zoccoli, dove più di metà del pubblico aveva le lacrime agli occhi dalle risa. Una menzione particolare va tributata all’Alain di Mike Derrua, non solo tecnicamente perfetto, ma anche smagliante nei vari sketch comici affidati al suo personaggio: finte cavalcate, maldestri tentativi di suonare il flauto, insomma tutto il caleidoscopico mondo del carattere del personaggio, indubbiamente il più simpatico del balletto. Ottima anche la performance dei comprimari e delle maestranze del Costanzi. L’intero corpo di ballo, al solito, si distingue per tecnica, musicalità, precisione, come ci ha mostrato, per fare pochi esempi, nelle danze contadinesche della mietitura (I atto), in quella con i bastoni (II atto) o nel finale I, con il temporale e la danza del maypole. Ma non si dimentichino gli spassosi galli che ricompaiono qua e là nel corso della pièce e che strappano sempre un sorriso. Dulcis in fundo è doveroso citare anche il delizioso pony, che porta sul carretto Lise e Simone per i possedimenti di Thomas (Alessandro Rende), padre di Alain: qui si nota l’abilità registica di Ashton, che riesce a suggerire, con un pannello che copre parte del parco, il movimento di una passeggiata su un carretto.

La direzione musicale è affidata a Philip Ellis, che ha un perfetto dialogo con il palco; l’orchestra suona assai bene quello che, in sostanza, è un pastiche musicale da varie opere: chiare ed evidenti risuonano le idee di Rossini, di Donizetti, ma anche le musiche originali di Ferdinand Hérold, cui in sostanza si deve la più fortunata versione musicale del balletto. L’allestimento scenico è quello della Bayerische Staatsoper e stupisce per l’ottima fattura e la bellezza sia delle scene che dei costumi. Indimenticabile, nei giochi cromatici, sia la scena d’apertura della fattoria, sia il campo di grano del secondo quadro del I atto – nei suoi colori netti e compatti ricorda i celebri paesaggi di Van Gogh. Insomma, uno spettacolo che fa divertire innanzitutto chi lo porta in scena, figuriamoci il pubblico, che ringrazia con risate ed applausi.