Più realistico che romantico

di Michele Olivieri

In assenza del dialogo recitato Kenneth MacMillan ha imbastito un capolavoro sull’arte del balletto, scavando in profondità nel testo shakespeariano. La rilettura richiede una grande compagnia in termini di completezza, e quella della Scala diretta da Legris ne ha dato un vivido esempio.

MILANO – Questa scrittura coreografica non avrebbe bisogno ancora di ulteriori recensioni, se non per la parte puramente tecnica degli esecutori. È bella, senza tempo e restituisce del capolavoro di Shakespeare anche la più piccola emozione. L’allestimento è rilevante oggi com’era quando fu ideato nel 1965. Caposaldo del repertorio delle maggiori compagnie di danza, è stato rappresentato per il pubblico di tutto il mondo e ora torna nuovamente in scena a sette anni dalle ultime rappresentazioni nel tempio del Piermarini.

Negli stessi giorni della ripresa scaligera, il capolavoro di Shakespeare è andato in scena sempre a Milano in una rilettura recitata, di stampo moderno in chiave LGBTQ+ con accompagnamento di musica, danza e canto, dove tra il giovane Montecchi e il giovane Capuleti scoppia un amore travolgente come la loro età. A riprova che la più romantica delle opere di Shakespeare è sempre di forte attualità anche nella cornice contemporanea: la potenza e la bellezza della drammaturgia non hanno né confini né barriere di genere.

L’allestimento di MacMillan si apre sulle vie, le piazze, i vicoli e le contrade di Verona con il sapore del revival di un passato che è già domani. Le scene di Mauro Carosi ambientano il balletto prima del Rinascimento. Ci sono vivaci colori ovunque per meglio sottolineare gli accadimenti e la tensione. È una visione matura, raffinata, decisamente aliena dall’ovvio. È un inesauribile miscellanea di idee e di intuizioni, con il fascino di quella eleganza “ancien” firmata da Odette Nicoletti in cui predomina il colore rosso simbolo di emozioni, energia, movimento ma anche di sangue emblema di vita e al contempo di morte. Incantevoli le varie nuance di rosso impiegate, tra vesti e sottovesti, mantelli, copricapi, tuniche, piume, dall’amaranto al bordeaux, dal borgogna al carminio, dalla ciliegia al corallo, dal cremisi al fucsia, dal granato al vinaccia, dall’incarnato fino a fondersi nell’intenso viola, il colore della metamorfosi, della transizione, della spiritualità, ma soprattutto dell’unione tra gli opposti.

Notevole la riproduzione del “Crocifisso di Santa Croce” di Cimabue, dipinto nato per la basilica di Firenze dove tuttora è conservato, a sottolineare la scena della cappella di Frate Lorenzo e del matrimonio segreto. L’allestimento è anche un riscoprire un certo tipo di cultura europea, una rivalutazione del vecchio continente che vibra nell’aria con tempismo acuto.

Con i suoi amici, la vita di Romeo è vissuta in angoli oscuri, tra litigi, risse e affari. Romeo (Jacopo Tissi) abbraccia la scena, uggioso e inebriante di vita. Il balletto si legge come un dipinto, dove l’uso della luce (a cura di Marco Filibeck) non avvolge più l’intera rappresentazione mettendo in risalto tutti gli elementi, ma si concentra all’occorrenza solo su quelli che evidenziano la scena. Il paragone ci avvicina ai dipinti di Caravaggio, oltre all’uso della luce anche per quella minaccia di violenza che ammanta l’atmosfera. MacMillan ci offre così il suo doppio talento, coreografo ma soprattutto regista.

La produzione si palesa fin da subito differente. Elimina i normali specchietti per allodole del balletto di successo e si concentra sull’intensità psicologica. Focalizza il personaggio, non lo spettacolo in senso lato. Va oltre lo sfarzo e il privilegio del mondo dei due innamorati per esaminare innanzitutto i motivi che li dividono, e metaforicamente anche quelli dell’umanità intera.

Quando Romeo e Giulietta (Martina Arduino) si incontrano, è come se il cielo si illuminasse di fuochi di artificio. Ballando a una festa della famiglia Capuleti, in cui i rivali Montecchi sono banditi, la coppia stringe un legame fulmineo.

L’Orchestra della Scala diretta dal maestro Timur Zangiev infonde ai danzatori una “voce” drammatica. Tissi e Arduino evocano l’iniziale sogno shakespeariano, il lato scherzoso e giocoso della coreografia. Incontrandosi più tardi, si librano in attimi di estasi. Il loro amore appena scoperto sembra invincibile. Naturalmente, gli eventi soverchieranno gli amanti mentre l’aspra rivalità tra le due famiglie inizia a intensificarsi. In uno scontro fuori controllo, vengono uccisi sia Mercuzio (il migliore amico di Romeo, impersonato dall’ottimo Rinaldo Venuti) sia Tebaldo (cugino di Giulietta alias il tenebroso Marco Agostino).

In queste scene di accresciuta drammaticità, si percepisce appieno la portata della musica di Prokof'ev, considerata storicamente una delle quattro più affascinanti composizioni orchestrali mai scritte per balletto (insieme a quelle di Čajkovskij per Il lago dei cigni, La bella addormentata e Lo schiaccianoci).

Il Balletto della Scala diretto da Manuel Legris con la supervisione coreografica sulla presente produzione di Julie Lincoln ci offre una tavolozza di intuizioni. Tornando, ad esempio, ai costumi, risultano opulenti per quanto riguarda le famiglie al contrario di quelli dei due eroi, semplici anche nei colori. Questi adolescenti rifiutano la tradizione e gli schemi prefissati, e MacMillan lo fa intendere con lucidità.

Tra i momenti più incalzanti troviamo i combattimenti con le lame, si potrebbe dire una vera e propria “danza delle spade”, dove i provetti esecutori mimano un duello rituale, con movimenti di attacco e di difesa. Ciò unisce l’intenso simbolismo a una incredibile energia per cui i duellanti si alternano sfidandosi a colpi di figurazioni e gesti misurati, spronati dal ritmo incalzante della partitura. Le spade appaiono un perfetto “metronomo” i cui costanti impulsi aiutano gli artisti a tenere il tempo senza cedimenti.

La storia passa rapidamente dal primo incontro di Romeo e Giulietta alla loro decisione di sposarsi in segreto. Dopo aver passato la notte insieme, la coreografia danzata da Arduino e Tissi cambia, diventando più sciolta e languida. Tissi eccelle sia per tecnica sia per interpretazione, catturando il modo in cui Giulietta si ritrova intrappolata tra desiderio e obbligo. Il rapporto è già inquinato dalla morte di Mercuzio e Tebaldo. Con il padre di Giulietta che spinge per un matrimonio combinato con l’amico di famiglia Paride (Emanuele Cazzato), la difficile realtà della loro situazione inizia a farsi sempre più evidente.

Dopo le varie peripezie, ben conosciute, in chiusura la fanciulla scorge la boccetta del veleno che ha ingerito Romeo per suicidarsi e, vedendo che non ne è rimasta nemmeno una goccia, gli bacia le labbra nella speranza di ingerirne un poco e di morire insieme a lui. Giulietta però capisce che ciò non è possibile e precipitosamente agguanta il pugnale di Romeo e si colpisce a morte. Esanime si adagia sopra il corpo del suo Romeo. La tragedia ci racconta che muore nel 1303, a soli dodici anni, mentre il suo innamorato ne aveva sedici. Il teatro gremito ha esultato quando le luci si sono accese nel gran finale. È il titolo ideale per chiudere la stagione scaligera prima della pausa estiva lasciando allo spettatore l’amore ideale tanto in voga nei sonetti di quell’epoca.

La maggior parte dei migliori ballerini della compagnia si sono alternati ai ruoli principali nei vari cast. Nella serata qui recensita, Jacopo Tissi (primo ballerino ospite) e Martina Arduino (prima ballerina stabile) hanno danzato gli amanti condannati e hanno trasposto la loro personalità dando l’idea di un sentimento durato pochissimo ma senz’altro infinito, e lo hanno fatto al meglio. Non ci sarà mai una Giulietta o Romeo uguale all’altro, pur nella ripetizione della coreografia. Ognuno porta qualcosa del proprio vissuto, della propria formazione, e certamente della propria indole. All’inizio Arduino dall’aspetto minuscolo e fragile è una Giulietta adolescente timida più desiderosa di giocare con la bambola sotto la protezione dalla sua della nutrice, piuttosto che di sognare il principe azzurro. Ma una volta che il suo sguardo incrocia quello di Romeo, tutto cambia, si evolve. La piccola Giulietta diventa donna. La sua danza spicca il volo, si lancia tra le sue braccia nel famoso “pas de deux” del balcone e i suoi movimenti esplodono di passione. Insieme i due protagonisti sbocciano come fossero splendidi fiori malgrado nessuno li annaffierà.

La coreografia di Kenneth MacMillan brilla per intensità ed è certamente il motivo per cui questa rilettura ha riscosso sempre successo, non solo alla Scala. La rimozione di alcuni canoni storici può anche far risultare l’opera non propriamente adatta ai puristi, che pur nella sua natura classica, propone accenti contemporanei nell’abolizione degli archi narrativi secondari.

I danzatori meritano un encomio per il risultato coeso sulla complessa produzione e per l’essenzialità che risiede nel non mostrare mai lo sforzo fisico. Citiamo Mattia Semperboni (Benvolio), Edoardo Caporaletti (Lord Capuleti), Luana Saullo (Lady Capuleti), Massimo Garon (Il Duca), Chiara Borghia (Rosalina), Serena Sarnataro (La nutrice), Massimo Dalla Mora (Frate Lorenzo), Alessandro Paoloni (Solista Mandolino), le zingare Caterina Bianchi, Giulia Schembri, Alessandra Vassallo, Lord Montecchi di Daniele Lucchetti, Lady Montecchi di Corinna Zambon e le amiche di Giulietta Gaia Andreanò, Greta Giacon, Giordana Granata, Linda Giubelli, Denis Gazzo, Marta Gerani e tutto il Corpo di Ballo.

MacMillan ha voluto che i giovani amanti morissero afflitti da una acuta sofferenza e che la riconciliazione tra Capuleti e Montecchi fosse lasciata sospesa in aria, ridisegnando come già detto un’ottica differente dalle precedenti versioni, due su tutte quelle storiche di Lavrovsky e di Cranko.

Nell’inevitabile evoluzione dell’arte coreutica e delle sue sempre più frequenti commistioni sul grande repertorio, questo Romeo e Giulietta centra nuovamente lo spirito umano permettendo ai sensi di emergere non “con la danza” ma “dalla danza”.


Michele Olivieri