L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il più classico dei classici

 di Roberta Pedrotti

 

Torna, benvenuta, la storica coreografia di Kenneth McMillan per il capolavoro di Prokof'ev da Shakespeare. Gli anni non hanno lasciato il segno sullo spettacolo, applaudita in tutto il mondo da cinquant'anni, e intaccato il suo valore di classico intramontabile.

BOLOGNA, 25 giugno 2015 - Certo, se non si tratta di un festival o di qualche manifestazione speciale magari all'aperto, non è facile riempire i teatri alla fine di giugno, però bisogna ammettere che il Comunale di Bologna ha veramente messo in campo tutte le forze possibili per rendere appetibile questo appuntamento con la danza classica. Nessuna étoile di grido, ma una compagnia russa di buon nome (quelal di Perm), Shakespeare e la più popolare delle sue tragedie, Prokof'ev, la coreografia storica di Kenneth McMillan, che proprio nel 2015 festeggia i suoi primi, splendidi cinquant'anni.

Cosa si potrebbe dire ancora del Romeo e Giulietta di McMillan che ancora non sia stato scritto in questi decenni? Cosa lodare ancora di un classico perfetto, in cui lo sfarzo si punteggia di ironia, seduce con il fascino di un libro illustrato, con quei cipressi, nel finale, che sembrano levarsi dalle pagine di un bel volume pop-up? Il tono incantato, con cura minuziosa del dettaglio, gioca fra realtà e finzione senza cedere di un passo sul piano dell'intensità drammatica. Ai danzatori è imposto in primo luogo di recitare, di plasmare attraverso i codici del balletto classico un autentico lavoro d'attori (basti pensare al valore espressivo dato ai passi di Giulietta sulle punte o meno), e ci si dimentica che i versi di Shakespeare non sono pronunciati, che solo l'azione è sotto i nostri occhi.

Il meccanismo teatrale è talmente perfetto che gli sgargianti costumi di Odette Nicoletti non paiono mai decorativi, ma funzionali, necessari per un'idea registica e coreografica ben precisa; che gli inserti pittorici nei sipari componibili pensati da Mauro Carosi non fanno apparire didascaliche le citazioni dalla Camera degli sposi del Mantegna, né fuori luogo la loro collocazione veronese, anzi, favoriscono ancor più un'atmosfera onirica, la suggestione di un mito fuori dal tempo che vive e sanguina anche nella vertigine delle illusioni e della sospensione dell'incredulità.

Il disegno luci originale di Sergey Martynov, anche ad onta di qualche svista nelle puntature, s'intende sempre notevole.

Non abbiamo étoile, ma onesti interpreti educati nel rigore della gloriosa scuola russa: non avremo solisti che irradiano carisma abbagliante, virtù atletiche sovrumane, sfide sorprendenti alla forza di gravità o irreale precisione e sincronia nei momenti d'assieme. Avremo un alto livello professionale, la delicata, acerba femminilità di una Giulietta (Inna Bilash) tenera e poetica, sospesa fra infanzia e adolescenza, fragile vittima ingabbiata in un mondo duro e spietato. Avremo l'incisività altera del Tebaldo di Ivan Poroshin o la misura spensierata del Mercuzio di Artem Mishakov, la ben caratterizzata rivalità virile e giovanile fra Romeo (Nikita Chetverikov) e Paride (German Starikov). Avremo l'autorità serpentina di Natalia Makina, una Lady Capuleti a metà fra Lady Macbeth e le splendide streghe dei Grimm.

Ma Romeo e Giulietta anche (soprattutto?) significa Prokof'ev: l'immortalità del balletto, a dispetto anche dell'immortalità del soggetto, non avrebbe fondamento se non poggiasse su una creazione musicale degna di Shakespeare, un dramma in musica dei più alti, solo che senza parole e affidato, sul palco, nient'altro che all'espressione tersicorea dell'azione come dei moti dell'anima.

Protrattasi l'indisposizione del previsto Aziz Shokhakimov, gli subentra sul podio Giuseppe La Malfa, che dimostra non solo un'approfondita conoscenza della partitura, ma anche la giusta autorità e polso saldo nel guidare l'orchestra mantenendo la tensione con alcuni momenti particolarmente apprezzabili. Qualche sbavatura negli ottoni si è intesa, soprattutto nel secondo atto, ma considerate la difficoltà della partitura e il passaggio di testimone fra due diverse bacchette, si possono ben archiviare come incidenti veniali nell'ambito di una resa musicale complessiva di tutto rispetto.

Sì, il Comunale ha fatto tutto il possibile per proporre al suo pubblico una programmazione di danza di qualità che andasse dalla prima assoluta contemporanea di Virgilio Sieni [leggi la recensione] al più classico dei classici, inteso nel miglior senso calviniano del termine. Se il teatro non era pieno si potrà imputare solo al periodo già vacanziero, si spera non a uno scarso interesse. In ogni caso il successo è stato pieno e ampiamente meritato.

foto Rocco Casaluci


 

 

 
 
 

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