Serata Nureyev a Roma

Omaggio al divino tartaro

 di Stefano Ceccarelli

Il Teatro dell’Opera di Roma, nella suggestiva cornice estiva delle Terme di Caracalla, allestisce una serata monografica su Rodulf Nureyev coreografo, rimontando alcuni dei capolavori che l’hanno visto al contempo regista/coreografo e anche interprete: il III atto di Raymonda (recentemente andato in scena al Costanzi); la Polonaise e il Pas de deux, che diventa Il pas de trois del cigno nero, tratti rispettivamente dal I e dal III atto de Il lago dei cigni; e il III atto de La Bayadère. Il corpo di ballo è eccezionale al solito; i solisti fanno del loro meglio regalando un’ottima serata di balletto nel tepore estivo delle notti romane. Complimenti a Patricia Ruanne, allieva e collaboratrice di Nureyev, che lavora indefessamente per conservare e tramandare il grandissimo lavoro che il tartaro divino (mi sono innamorato di questa definizione di Rossella Battisti) ha fatto per la danza.

ROMA, 26 giugno 2016 – Serata incantevole, clima perfetto, una dolce notte romana accompagna l’hommage coreutico al genio della danza del XX secolo: Rudolf Nureyev, il divino interprete del balletto classico. Fuggito dal regime comunista russo, rinnegato dalla propria patria, osannato dal resto del mondo, Rudy Nureyev ebbe una carriera sfolgorante e la sfortuna di contrarre un male – all’epoca incurabile – che l’involò alla vita prematuramente. La sua allieva Patricia Ruanne e i suoi assistenti fanno rivivere le coreografie di celebri balletti classici che Nureyev, con grande passione e amore (si pensi all’estremo sforzo della sua Bayadère del 1992, quand’era consunto dalla malattia) ricostruì e modificò secondo il suo sentire, il suo gusto. L’antologia è stata scelta, dunque, in base ai precipui gusti del maestro.

La Raymonda,su musiche di Aleksandr Glazunov, fu uno dei balletti più amati da Rudy che lo ricostruì recuperando pagine accantonate dallo stesso Glazunov e ne apprestò diverse versioni («Raymonda diventerà una sorta di talismano, una mappa di riferimenti della sua identità di russo e di artista cresciuto al Kirov, dalla quale attingere di tanto in tanto» scrive R. Battisti, nel bell’articolo del programma di sala): in questo mélange nureyeviano si dà l’atto più famoso e sovente eseguito a sé, il III, l’atto delle nozze fra Raymonda e il crociato Jean de Brienne, tutto imperniato su un divertissement dal sapore ungherese. La versione qui presentata è la coreografia di Nureyev rimontata da Patricia Ruanne e Frédéric Jahn; l’abbiamo già ammirata al Costanzi nella serata dei Grandi Coreografi (leggi la recensione). Le scene sono ridotte al minimo: qualche candelabro e l’inimitabile quinta archeologica dei celebri ruderi delle terme di Caracalla. Giuseppe Schiavo e Anjella Kouznetsova sono aggraziati nella loro entrata come Re e Contessa: il corpo di ballo si riversa in bei costumi da cerimonia e esegue con buona precisione e coordinazione il Grand Pas classique hongrois e un buon Pas de dix; seguono la variazione della Gay, il Pas de Quatre (peccato qui qualche errore di coordinazione nell’atterraggio dai tour en l’aire dei quattro interpreti), il Pas de Trois e la buona variazione di Raymonda eseguita da Rebecca Bianchi – prima ballerina – che palesa buon equilibrio sulle punte, grazia e coordinazione nella diagonale. Friedemann Vogel danza un aggraziato e preciso Jean de Brienne, palesando le sue migliori doti che ritroveremo per tutto il corso della serata: eleganza e pulizia delle linee, talvolta offuscate da una certa qual lieve pesantezza dovuta certo alla sua imponente stazza. Molto bello il finale a ritmo di czardas e la classica Apothéose.

Il capolavoro indiscusso del genere del balletto, Il lago dei cigni, amatissimo, di Pëtr Il'ič Čajkovskij, fu un altro dei cavalli di battaglia di Nureyev (ce ne ha lasciata una stupenda versione eternata in DVD con Margot Fonteyn). La Ruanne e Laurent Hilaire rimontano la Polonaise (I) e il Pas de deux Siegfrido/Odile (III) che nella versione di Nureyev diventa un Pas de trois con l’attiva partecipazione di Rothbart, in seno alla tendenza di Rudy a rimontare coreografie dando più spazio ai danzatori maschili, creando dei ruoli che potessero calzargli a pennello (infatti Rothbart fu l’ultimo ruolo danzato dal tartaro alla Scala, nel 1990, già gravemente compromesso dalla malattia). La Polonaise esce brillante, miglior testimonianza, in questa serata, dell’ottimo livello del corpo di ballo maschile. Alessandra Amato danza Odile, Vogel danza Siegfried e Giuseppe Depalo Rothbart: il Pas de Trois è ben coordinato, con Depalo incredibilmente energico e Vogel elegante nelle linee; la Amato danza con passione e sensualità (peccato per una perdita di aderenza al terreno alla fine dei fouettes).

Il clou della serata è il III atto de La Bayadère, che si armonizza perfettamente con la scenografia naturale delle rovine (Il regno delle ombre, come è titolato il III,si finge infatti fra le cime cinte dalle stelle dell’Himalaya). Il corpo di ballo femminile, nei panni delle danzatrici/spettri, scendendo ritmicamente la scala delle rupi delle impervie vette, crea un’autentica magia, portandoci quasi alla commozione. Marianna Suriano danza una dolce Nikiya; Claudio Cocino un buon Solor. Le variazioni degli spettri e le coreografie riescono come si deve. Gli applausi sono degno suggello di una bella e suggestiva serata di danza.

foto Yasuko Kageyama