Roberto Bolle all'Arena di Verona

La danza è morta? Viva la danza!

 di Andrea R. G. Pedrotti

In uno dei momenti di peggior crisi per la danza a Verona, torna, con sapore quasi paradossale, il lussuoso galà internazionale con protagonsta Roberto Bolle. Una serie di momenti coreografici anche d'alto o altissimo livello, benché avulsi dal loro naturale contesto e privati dell'apporto dell'orchestra dal vivo.

VERONA, 18 luglio 2016 - Il Gala itinerante Roberto Bolle and Friends, appuntamento ormai consueto per la Fondazione Arena, è tornato all’anfiteatro scaligero in uno dei momenti più bui per la danza veronese. Ha il sapore d’una strana beffa proporre sconti per le scuole di balletto proprio ora che la locale compagine rischia la chiusura definitiva. Sarebbe un po’ come se si proponessero contributi e degli incentivi per far parte delle giovanili di una formazione calcistica e venisse contemporaneamente vietata l’attività della prima squadra, garantendo, però, l’esibizione dell’abilità di palleggio dei campioni del Bayern München, del Barcellona, del Manchester United, etc. Un po’ come mostrare ai giovani ciò che loro non potranno mai essere, almeno restando sul proprio territorio.

Il Roberto Bolle and Friends è, come sempre e per necessità, una serie di assoli solistici e Pas de deux estrapolati dai balletti originali, dei quali perdono trama e drammaturgia, anche in relazione allo scarso legame di significati fra un’esecuzione e l'altra. È una semplice successione di performance tecniche, che con la forma d’arte in sé hanno ben poco legame e scarso risultato divulgativo, poiché –specialmente per i neofiti- ciò che si vede ha poca attinenza con un balletto propriamente detto. La diffusione sarebbe possibile in ottica operistica, ma la danza ha una struttura complessa che non consente tutto questo.

Ferme restando le considerazioni appena enunciate, non si può negare che la serata sia pienamente riuscita, con l’Arena completamente esaurita. Splendido l’effetto offerto dallo spegnimento di tutte le luci, consentendo di lasciare l’illuminazione del firmamento costituito dalle tradizionali candeline. Un’immagine impagabile, salutata allo stesso modo del pubblico dal meraviglioso perigeo lunare, che palesava mari e crateri come raramente accade, tanto da far sembrare le rotondità di Copernico una bocca spalancata dallo stupore per la meravigliosa poesia dei marmi scaligeri. L’ultimo afflato di autentica poesia proviene non più dalle pietre del nostro satellite, ma dalle risonanze del bronzeo cerchio stretto fra le mani dolci e autoritarie dell’avvenente, quanto fascinosa, suonatrice di gong dell’estate 2016.

Quest’anno il Gala è stato strutturato con una maggior commistione di brani classici e altri più prossimi alla contemporaneità. L’assenza dell’orchestra è, purtroppo, un altro elemento a descapito del sentimento. È vero che le compagnie itineranti non avrebbero il tempo di prepararsi con le locali compagini. Perché, allora, non organizzare un grande balletto con un corpo di ballo locale e, magari, Roberto Bolle in qualità di étoile?

Rammentiamo come l’Oiseau de feu visto al Teatro Romano (dove non esiste posto fisico per l’orchestra) lo scorso agosto [leggi la recensione] e quello più recente, conclusivo della stagione invernale 2015/2016 (stessa coreografia e stessa interprete - leggi la recensione) avessero avuto un esito molto diverso, indipendentemente dagli stimoli offerti dai differenti ambienti d’esecuzione. Ogni direttore e ogni compagine orchestrale hanno una loro personalità e umanità. L’effetto areniano pareva, sinceramente, un po’ troppo asettico.

Il primo brano, Prototype, voleva essere la presentazione del ballerino ideale, attraverso proiezioni computerizzate, che analizzassero e comprovassero la perfezione tecnico-fisico-atletica del “prototipo”, rappresentato dallo stesso Roberto Bolle, il quale si trovava a dialogare e danzare con altri se stesso, proiettati nello schermo di fondo. L’idea e la coreografia di questo brano erano di Massimiliano Volpini, su musiche originali di Pietro Salvatori (prodotte da Fausto Dasè), mentre co-regia e Visual Effects erano di Avantgarde Numerique e Xchanges Vfx Design.

Il brano successivo, After the Rain, invece, era interpretato da Anna Tsygankova e Metthew Golding, con la coreografia di Christopher Wheeldon e le musiche di Arvo Pärt.

È, poi, la volta di Il Corsaro, con il Pas de deux, coreografato da Marius Petipa su musiche di Riccardo Drigo, eseguito da un bravissimo e applauditissimo Osiel Gouneo, che ha fatto di precisione, interpretazione e potenza fisica la cifra caratteristica della sua esibizione e da una Nicoletta Manni brava tecnicamente, ma assai carente per carisma e interpretazione.

Si noterà il difetto generalizzato dello scarso legame fra i brani, che trasforma il tutto in una manifestazione quasi circense più che artistica, ma tant’è.

Segue il Duet from New Suite con coreografia e luci di William Forsythe, costumi dello stesso coreografo e Yumiko Takeshima su musiche di Johann Sebastin Bach tratte dall’Allemande dalla Partita N. 1 BWV 1002 e ben interpretato da Elena Vostrotina e Christian Bauch. Anche qui, a dispetto dei gusti, era apprezzabile la resa tecnica, ma sempre con poco sentimento nella coreografia.

Ben eseguita da Roberto Bolle e Viktorina Kapitonova anche la Suite da L’Arlesienne di Georges Bizet nella coreografia di Roland Petit. Personalmente avremmo evitato l’effetto di proporre il protagonista intento a togliersi la camicia. Idea, invero, poco raffinata ed elegante.

Dopo una breve pausa rinfrescante arriva una seconda parte (non si capisce perché definita “atto” sul lacunoso programma della serata) che ci consente di vedere le cose migliori. Si parte con una delle due esibizioni maggiormente interessanti, ossia il Pas de deux dal III del Don Chisciotte (il matrimonio fra Kitri e Basil) di Ludwig Minkus, con le coreografie celeberrime di Marius Petipa. Molto bravo l’interprete maschile Metthew Golding e veramente straordinaria la collega Anna Tsygankova, a riprova di quanto (nell’ambito della danza) la scuola russa rimanga intramontabile nell’olimpo dell’oltrecategoria, come avevamo avuto modo di notare anche al Gala di danza del teatro Filarmonico, nella stagione 2014/2015 [leggi la recensione].

Molto meno intrigante, ed eccessivamente statico, il successivo Pas de deux da Proust, ou les intermittences du coeur di Gabriel Fauré con la coregrafia di Roland Petit, interpretato da Roberto Bolle e Timofej Andrijashenko.

Meglio il successivo Diana e Atteone di Cesare Pugni (riadattato da Riccardo Drigo) con la coreografia di Agrippina Vaganova e i ballerini Sarah Lane e Osiel Gouneo, seguito dal brano Vertigo Maze, su musiche di Johann Sebastian Bach (ancora una volta non viene segnalato quali), coreografate da Stijn Celis e interpretate da Elena Vostrotina assieme a Cristian Bauch.

La chiusura è stato il Pas de deux eseguito sull’ouverture di La gazza ladra di Gioachino Rossini, con coreografie di Cristian Spuck. Questo è stato certamente il brano più divertente della serata con schermaglie e piccoli litigi eseguiti simpaticamente da Roberto Bolle e da una bravissima ed elegante Viktorina Kapitonova.

Bis programmato con la partecipazione di tutti gli artisti, sulle note di Sing, sing sing di Benny Goodman.

Al termine trionfo per tutti, con numerose uscite degli artisti impegnati.

Da segnalare numerosi errori sul programma fornito alla stampa, fra i quali il più evidente era quello di una successione delle varie esibizioni completamente errata nell’ordine. Sarebbe, poi, stato auspicabile precisare, come nelle passate edizioni, le istituzioni di riferimento delle varie étoile ospiti. Lo scorso anno ci furono delle variazioni, a causa dell’infortunio a uno dei ballerini: quest’anno problemi del genere non si sono riscontrati.

foto Laura Ferrari