don chisciotte a brescia

Sogno e sacrificio

 di Andrea R. G. Pedrotti

Meritato successo di pubblico per il Ballet Nice Méditerranée al Teatro Grande di Brescia.

BRESCIA, 13 novembre 2016 - Capita ancora in Italia di passeggiare, durante piacevole pomeriggio autunnale, alla volta di un teatro di tradizione con l'intenzione di vedere un balletto. Dal palco si osserva la sala, che appare desolantemente vuota, ma, nell'approssimarsi dello spettacolo palchi, platea e gallerie si vanno popolando sempre più copiosamente, lasciando pochissime poltrone a disposizione, sparuti vuoti sui posti aggiunti sopra la buca dell'orchestra. Un teatro pieno come non tutti gli spettacoli operistici potrebbero ottenere e un crollo dell'età media dei presenti: poche teste canute e moltissimi giovani, uomini e donne, che assicurano la loro presenza sebbene non fossero state previste offerte d'occasione.

Un impegno a presenziare a un evento poco pubblicizzato, emblema di un settore artistico ingiustamente declassato e che, in questo momento, palesa ancora una volta la sua natura volta a un sacrificio, sovente fine a se stesso. È difficile piegare un ballerino, poiché egli è un artista che, se serio e professionale, passa la sua vita, dalla tenera infanzia alla maturità, dedicando ore agli esercizi. Se vuole riuscire a realizzare la sua passione non ha alternative, deve plasmare la suo corpo e la sua mente con un impegno e una tenacia che quasi sicuramente non gli porteranno fama, gloria e ricchezza. Un esercizio fisico e psichico paragonabile alla più dura delle caserme, ma senza la possibilità di concedersi una libera uscita. Una delle prospettive più rosee è quella di affrontare una vita ancor più umile di quella d'un ciclista gregario, al quale viene talvolta concessa la possibilità di giocarsi una tappa, con la prospettiva di trascorrere un'esistenza lavorativa e la propria giovinezza come ballerino di fila, anche se le capacità potrebbero essere quelle di una grande étoile.

La massima soddisfazione per un'étoile può esser solo un effimero applauso tributato dal pubblico. Una vita sacrificata solo per questo. Se molte istituzioni teatrali (senza nessuna razionale ragione programmatica artistica o economica) sviliscono tutto questo, il medesimo atteggiamento non viene da parte del pubblico, entusiasta e felice di ammirare il compimento di tanto ammirevole sacrificio.

Al teatro Grande di Brescia abbiamo avuto il piacere di assistere al Don Chisciotte su musiche del compositore ungherese Ludwig Minkus, interpretate dal Ballet Nice Méditerranée, con una coreografia ispirata a quella storica di Marius Petipa e curata Éric Vu-An (direttore artistico del corpo di ballo e interprete del ruolo eponimo).

La versione andata in scena tende a porre molto in risalto le vicende amorose di Basil e e Kitri, mentre l'impianto generale rassomiglia, più che alla versione storica, a quella rivista da Rudolf Nureyev, presentata la prima volta alla Wiener Staatsoper nel 1966, sicuramente più fresca e meno datata delle precedenti. Sovente gli interpreti sono salutati da applausi a scena aperta, a ogni Gran Pas, per il Manège e per il Dégagé dei protagonisti, rispettivamente, maschile e femminile, ma in generale tutti i passi tecnici ricevono festoso riscontro dal pubblico, con entusiasmo per le piroette del conclusivo Pas à Deux e il Grand Jeté della prima ballerina. Autentico fermento quando l'intero Ballet Nice Méditerranée accenni a una formazione che empia l'intera superficie del palcoscenico.

Pieno e sapido gusto francese nella caratterizzazione del ricco Gamache, così come nel rendere fresche le burlesche situazioni, specialmente del primo atto e del finto suicidio di Basil. Probabilmente il punto più alto della serata è stata, tuttavia, la scena del sogno di Don Chisciotte. Un momento simbolico anche per la danza stessa: il protagonista è costretto a lottare contro i mulini a vento e sogna la donna tanto bramata, Dulcinea. La danza, infatti, è forse la più femminile fra le forme d'arte: infatti è contraddistinta da un gusto soavemente onirico fatto di eleganza, sguardi e seduzione espressi con passione, fermento, ma senza l'uso della favella. La donna, come la danza, non ha necessità di parlare per esprimere il proprio sentire, ordinato e turbolento al tempo stesso: da osservatori esterni bisogna saperne comprendere i segnali e il fascino di un non detto.

Scene e costumi sono pressoché identici a quelli originali e, comunque, inquadrati nella tradizione. Qualche piccola rinuncia, comprensibile, è data all'impianto scenico (specialmente per quanto riguarda l'accampamento degli zingari), trattandosi questo di uno spettacolo itinerante.

Al termine grandi applausi per tutti gli interpreti e numerose richieste di bis sulle uscite finali.

Una lode va al pubblico, mentre certamente non la merita chi ha redatto il saggio di accompagnamento, riportato sul programma di sala del teatro. Piuttosto scarno nell'analisi del balletto, riporta prevalentemente citazioni, ma, per esempio, viene affermato che il teatro Teatro Mariinskij di San Pietroburgo abbia mutato il suo nome da “Bol'šoj”. Il riferimento era alla rappresentazione del 1871 a Pietroburgo, che avvenne, tuttavia, al teatro Bol'šoj Kamennyj, poi demolito per far posto al conservatorio Rimskij-Korsakov. Il Teatro Mariinskij, invece, mutò nome in epoca sovietica, chiamandosi Teatro Kirov, per recuperare successivamente l'antica nomenclatura dedicata alla principessa Maria Aleksandrovna.

È presente anche un errore nella trama del balletto, poiché il finto suicidio di Basil, in questa versione, non avviene in principio del terzo atto, ma alla fine del primo atto, poco prima della fuga dei due amanti.

Un'altra mancanza è la totale assenza dei nomi dei protagonisti in locandina e che, riportiamo qui dal comunicato stampa: Zoloa Fabbrini (Kitri), Alessio Passaquindici (Basil), Céline Marcinno (Mercedes), César Rubio Sancho (Espada), Andres Heras Frutos (Gamache), Luigi Neri (Il Padre), Eric Vu-An (Don Chisciotte) e Denis Vizzini (Sancho Panza).

Le scene, realizzate presso gli Atelier dell’Opera Nice Côte d’Azur, erano di Caroline Constantin, i costumi Roberta Guidi Di Bagno e le luci di Patrick Méeus.