L’ora tarda verso il tramonto

di Michele Olivieri

Un allestimento votato alla ricerca della bellezza in cui è preminente il trasparente valore del Corpo di Ballo della Scala.

MILANO, 7 novembre 2019 - La musica di Cajkovskij, nell’arrangiamento e orchestrazione di Kurt-Heinz Stolze, ha fatto vibrare il teatro del Piermarini tra sfumature di efficacia beltà accompagnando la Compagnia che vive un momento di assoluta freschezza, ricambio e vitalità. Nella sua totalità Onegin ha incontrato i favori degli spettatori verso il balletto vissuto come diletto e compostezza all’arte. La coreografia, così ricca esteticamente, ha favorito ancor di più l’attrazione per il tecnicismo richiesto dal coreografo John Cranko che per molti – alla loro prima visione del titolo, nato nella sua prima versione a Stoccarda nel 1965 – si è trasformata in rivelazione.Supportato da difficili prese (a sottolineare anche la passione dell’artista sudafricano con cittadinanza britannica noto per aver portato alla fama internazionale il Balletto di Stoccarda nei confronti del pattinaggio artistico a coppie) e da concatenazioni lo spettacolo dona momenti in cui lo stile classico viene eseguito soddisfacendo le reali capacità fisiche di ogni singolo danzatore, infondendo una profonda sensazione poetica. Dinamiche attive che in forma combinata con quelle psicologiche risultano efficaci soprattutto nei passi a due e nelle grandi veloci scene corali.

Marco Agostino e Nicoletta Manni rendono prezioso l’evento con naturalezza, rivelando un’ottima preparazione coordinativa e al contempo un’interiorizzazione dei ruoli validati da un elevato grado di motivazione, nonché di studio e preparazione. Agostino si distingue per padronanza scenica, un ruolo che gli calza “in crescendo”, soprattutto nel secondo atto, splendide elevazioni e flessuosi passi che riesce ad imprimere con naturalezza restituendo una rigogliosa maturità in ogni forma, musicalità e capacità di ordine. La sua performance trasmette i patemi del protagonista anche solo con uno sguardo, un gesto e un’intenzione calibrata, soprattutto con l’esatto senso della misura che risulta fondamentale in quanto un secondo prima o dopo connota diversamente la buona riuscita. La Manni è soave nel controllare la sua saldissima tecnica ottenendo quella capacità, più o meno intensa a seconda delle scene, nel provare una palpitante emozione, nel reagire con trasporto agli stimoli che il ruolo di Tat’jana impone, l’incondizionata e rassicurante presenza della prima ballerina scaligera ha offerto momenti di struggente commozione. Insieme la coppia protagonista –unendo possente tecnica maschile e raffinata tecnica di punte – ha incantato il Teatro alla Scala con lunghi e convinti applausi.

Il Corpo di Ballo si è distinto per l’equilibrata esecuzione dei ruoli, né troppo rapido né troppo lento, dando risalto alla vigilanza del tono, all’equilibrio statico e dinamico, alla postura, alla respirazione, alla concentrazione e alla coordinazione ottenendo una consapevolezza dei movimenti e delle posizioni conil modo di lavorare voluto ai suoi tempi dal coreografo e oggi dai suoi ripetitori, Agneta Valcu e Victor Valcu con la supervisione di Reid Anderson. Un corpo di ballo che non è spettatore di sé stesso ma partecipa costantemente a ciò che compie disvelando i dettami accademici, chi nel pieno della maturità chi ancora ricercando quella perfezione che tanto si addice ad una produzione come Onegin. Nicola Del Freo si rivela preparato nel ruolo di Lenskij, in special modo nel secondo atto, dove il senso della misura si riempie di drammaticità e pathos – coi giusti tempi – denotando l’esperienza acquisita in palcoscenico. Edoardo Caporaletticoglie con rigore le gradazioni del personaggio legate alla figura del Principe Gremin.Nel ruolo della nutrice la rassicurante Giuseppina Zeverino. Da segnalare la buona prestazione di Daniela Siegrist nel ruolo della vedova Larina. Una nota di merito è indirizzata all’Ol’ga di Alessandra Vassallo, bella, spumeggiante con lirismo.

I costumi di Pier Luigi Samaritani e Roberta Guidi Di Bagno mostrano l’artigianale cura che fa apparire ogni dettaglio ben confezionato, nelle accoglienti atmosfere rese suggestive anche dalle scenografie dello stesso Pier Luigi Samaritani e dalle avvolgenti luci di Steen Bjarke. Lode anche per l’Orchestra del Teatro alla Scala diretta con mano vivace da Felix Korobov.

Il terzo atto con Onegin che confessa il suo amore – seppur tardivo – a Tat’jana, la quale preferisce restare fedele al marito anche se l’amore per Onegin è struggentemente vivo, pervade l’animo dello spettatore: sguardi, sussulti, sensualità, trasalimento, turbamento, apprensione in nobile sequenza, senza alcuna forzatura per Agostino e Manni nel rendere vivo quel dolore nel dolore e quella passione nella passione. La creazione fa parlare letteralmente i corpi senza variare una notazione della storia, il coinvolgimento diventa un unicum mentre Onegin si incammina verso il suo destino solitario, nel tormento di Tat’jana per un grande amore fallito. Questo è ciò che viene richiesto da Cranko agli artisti: il nutrimento dell’anima da parte di chi li guarda. La quarta rappresentazione della stagione d’opera e balletto scaligera si può condensare in una crescita nei ruoli, di atto in atto, fino al culmine: ruoli compresi nel profondo e quindi restituiti con intelligenza. Assistere ad Onegin è come immergersi nel crepuscolo della sera, così affascinante nella sua iniziale luminosità, un intervallo di tempo tra il chiaro e lo scuro in cuil’atmosfera si diffonde generosa anche se il sole dell’amore di tanti Onegin e di numerose Tat’jana non sempre è così ben cosciente da far cogliere preparati e consapevoli gli occhi dell’umano prima dello scadere.

 

foto Brescia Amisano