L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Tante donne, una sofferenza

di Irina Sorokina

Torna al Bolshoi lo spettacolo tratto dal romanzo di Lermontov Un eroe del nostro tempo, in cui la coreografia si integra alla recitazione e al canto. 

IRRERISTIBILE, INTELLIGENTE, DEMONIACO

MOSCA, 29 gennaio 2020 - “Un eroe del nostro tempo, gentili signori miei, è davvero un ritratto, ma non di una sola persona: è un ritratto fatto da tutti i vizi di tutta la nostra generazione, in tutto loro sviluppo. Voi mi direte ancora che una persona non può essere così cattiva, ed io vi dirò che se voi avete creduto nell’esistenza di tutti i personaggi cattivi, tragici e romantici, perché non credete nell’esistenza di Pechorin? (…) Forse è perché che in lui c’è più verità di quanta voi desideriate?”.

Iniziamo così, da una citazione del romanzo Un eroe del nostro tempo di Mikhail Yuryevich Lermontov, geniale poeta russo, morto nel 1841 in seguito a un duello a soli ventisette anni; la morte che somigliò assai a quella di un altro genio della letteratura russa, Aleksandr Pushkin, solo quattro anni prima. Il romanzo Un eroe del nostro tempo uscì nel 1840 e viene considerato il primo romanzo russo del genere lirico psicologico. Il suo protagonista, Grigory Aleksandrovich Pechorin, un giovane ufficiale bello, intelligente, non trova il posto nella vita, vaga da un posto all’altro, è interessato alle donne che impazziscono per lui, mentre lui le disprezza come disprezza la società che lo circonda. Rende infelice ogni donna con cui intrattiene una relazione, distrugge le loro vite e uccide in un duello un giovanotto non proprio intelligente.

Ma non del magnifico romanzo che in Russia fa parte del programma scolastico abbiamo intenzione di occuparci. Andiamo direttamente al teatro d’opera più importante e leggendario della Federazione Russa conosciuto in tutto il mondo, il Bol’šoj che pochi anni fa, nel 2015, mise in scena una produzione senza paragoni, il balletto ispirato dal romanzo omonimo, creato da zero e quindi targato dal marchio “Bol’šoj“.

L’ipotesi che una produzione del genere sarebbe stata accettata o appezzata da tutti era imposibile. E, infatti Un eroe del nostro tempo in veste danzante, ma non solo, era stato lodato dagli uni e rinnegato dagli altri. A distanza di pochi anni una cosa è chiara: sul palcoscenico del più importante teatro d’opera russo esiste uno spettacolo unico, molto frequentato dai giovani e, addirittura, diventato „trendy“. Uno spettacolo indimenticabile.

Per creare Un eroe del nostro tempo non era stato chiamato solo un coreografo, in questo caso l'ex primo ballerino del Bol’šoj Yury Posokhov diventato direttore artistico del San Francisco Ballet e autore dei balletti di successo, ma anche il famoso e chiaccherato regista del teatro di prosa, Kirill Serebrennikov (il pubblico occidentale lo ricorderà come uno dei protagonisti dello scandalo legato al balletto Nureyev, sempre al Bol’šoj). Serebrennikov aveva già lavorato al teatro moscovita mettendo in scena l’opera di Rimsky-Korsakov Il gallo d’oro, e a distanza di pochi anni gli era stato offerto di partecipare alla creazione di un nuovo balletto: un’impresa simile a un viaggio verso una terra ignota. Serebrennikov aveva vestito i panni del demiurgo della nuova creazione: era autore del libretto, regista, scenografo e, insieme a Elena Zaytseva, costumista; aveva scelto il compositore, il giovane Ilya Demutsky. Quindi la regia e la parte visiva erano state l’opera di Serebrennikov. E allora, come „due orsi“, cioè Serebrennikov e Posokhov „avrebbero convissuto nella stessa tana“, usando la colorita espressione russa? Ma era andata bene.

La partitura di Demutsky, che ai tradizionalisti avrebbe potuto fare paura, non era risultata estremamente difficile all’ascolto. Si erano sentiti charamente degli echi dei grandi compositori russi del Novecento, Prokof'ev e Šostakóvič, e se anche è stato difficile trovare una melodia orecchiabile, tuttavia, la musica ha offerto dei ritmi riconoscibili e addirittura incluso generi ballabili celebri come polonaise e valse. All’ascolto era sembrata una specie di oceano agitato dove ogni onda era perfettamente visibile. Un grande merito era andato al direttore d’orchestra Anton Grishanin, il primo da affrontare la nuova partitura con lo spirito d’esploratore e rispetto per la tradizione; ne era venuto fuori un lavoro perfetto, in grado di dare un valido aiuto ai ballerini che di solito sono diffidenti verso la musica contempotanea. Dietro la coreografia di Posokhov c’erano le solide basi della grande tradizione russa e sovietica: personaggi disegnati in tutta la loro ricchezza psicologica, grandi composizioni con la partecipazione di solisti e corpo di ballo, la celebre e misteriosa „anima russa“.

Del romanzo di Lermontov che in realtà è una serie di novelle, ne sono state scelte tre: Bela, Taman’, La principessina Mary. Tre storie d’amore tra Pechorin e le giovani donne tanto diverse tra loro: una selvaggia caucasica, Bela, una contrabbandiera senza nome, chiamata Undina, e una giovane aristocratica, principessina Mary. Tre ambientazioni, tre storie, tre donne diverse, ma con il finale simile: morte o distruzione psicologica. Pechorin non si smentisce mai. In una serata chiamata col nome del romanzo, si sono visti tre balletti in un atto. Dobbiamo chiarire, però, che non si trattava del genere di balletto nello stato puro, ma del fenomeno del teatro sintetico: nella partitura di Demutsky sono presenti parti cantate e i cantanti e strumentisti sono apparsi sulla scena, come una squadra dei campioni dei balli da sala sulle carrozzine. E un’altra scelta originale: ogni novella coreografica ha avuto il proprio Pechorin ed è iniziata con un monologo del protagonista.


 

BELA

“Quando vidi Bela nella mia casa, quando per la prima volta, tenendola sulle ginocchia, baciai i suoi boccoli neri, pensai, stupido, che lei fosse un angelo, mandato a me dal destino compiacente… Mi sbagliai ancora. L’amore di una selvaggia non è tanto meglio di quello di una nobile signora; l’ignoranza e l’ingenuità della prima annoiano nello stesso modo che la civetteria dell’altra. Se volete, l’amo ancora, le sono grato di alcuni minuti soavi, morirei per lei,- ma mi annoio con lei. Non so se sono sciocco o cattivo, ma è anche vero che sono degno di compassione forse più grande che lei”.

La prima novella coreografica, Bela, racconta la storia triste di una fanciulla caucasica di cui si invaghisce Pechorin, ma la passione svanisce presto, l’ufficiale russo dallo stampo dell’eroe bayroniano si annoia della timida selvaggia. Finisce male, povera Bela, rapita dal connazionale Kazbich e condannata a una morte lenta e dolorosa. Pechorin non sa se seppellirla secondo il rito musulmano o cristiano.

Bela è risolta da Serebrennikov con i mezzi minimalisti: una pedana – la stanza di Pechorin e una montagna dove viveva Bela prima del rapimento. Una trovata affascinante del regista-scenografo è un gioco di colori, pure essi essenziali: al beige della montagna è aggiunto il nero dei mantelli dei guerrieri caucasici con i loro copricapi caratteristici. Il conflitto di due mondi, europeo e civilizzato e orientale e selvaggio è espresso da Posokhov in un modo assai originale, attraverso gli esercizi di danza classica. Pechorin porta la sbarra, inizia con i pliè e cerca di civilizzare Bela mettendole addosso un tutù rosa (la fanciulla lo toglierà quando all’amore subentreranno la noia e freddezza). In un aperto contrasto con i dialoghi tra Bela e Pechorin gli interventi focosi e quasi violenti dei caucasici tra cui Kazbich, innamorato di Bela, interpretato da un ardente Aleksandr Smolyaninov. Bela è un esempio del teatro sintetico: la partitura di Demutsky prevede i due cantanti, un tenore (Stanislav Mostovoy) nei panni di muezzin e un mezzosoprano (Svetlana Shilova) nei panni di una donna russa che piange la morte di Bela; il primo appare dalle viscere della montagna, la seconda esce dalle quinte. Il loro canto lacerante insieme crea una sensazione di dolore acuto e si trasforma in una catarsi.

Igor Tsvirko, danzatore dal forte temperamento e mille facce, Pechorin nella prima parte della “trilogia” di Serebrennikov e Posokhov, disegna un personaggio altezzoso ed ermetico; Ana Turasashvili è una Bela sensibile, timida, tormentata, dalle movenze di una gazella.


TAMAN’

“Decisamente non vidi mai una donna simile. Fu lontana dall’essere bella, ma io ho i miei propri pregiudizi riguardo alla bellezza. C’era tanta razza in lei… la razza nelle donne, come nei cavalli, è una grande cosa… La razza si vede soprattutto nell’andatura, mani e piedi; soprattutto si vede nel naso. Un naso giusto in Russia è più raro di un piedino piccolo”.

Tra tre novelle coreografiche Taman’ , forse, è quella più efficace. Decisamente laconica e snervante, mantiene la tensione drammatica e l’attenzione continua dello spettatore dall’inizio alla fine. La scenografia è davvero di gran effetto: sul palcoscenico del Bol’soj, come per magia, sorge la riva del mar Nero, un ponticello, delle barche vuote, si muovono delle onde burrascose, si vedono dei riflessi inquietanti.

L’ufficiale Pechorin arriva a Taman’, una piccola cittadina di Crimea per questioni di servizi militare. Non si trova l’alloggio da nessuna parte, non gli rimane che accettare di passare la notte una casetta fatiscente con dentro la gente sospetta, una vecchia, un ragazzino cieco, una fanciulla che attira subito la sua attenzione. La segue nel mare, l’avventura lo conduce quasi alla morte: la bizzarra fanciulla è la compagna di un contrabbandiere Yanko e cerca di annegare Pechorin nel mare.

Anche qui un’efficace trovata di Serebrennikov-regista: lo spietato Yanko interpretato da un strepitoso Anton Savichev che salta dal corpo di un’enorme vecchia donna. Artyom Ovcharenko, il secondo Pechorin della creazione del coreografo Posokhov rivela un eroe stanco e sconvolto, ad un passo da una morte violenta, in lotta con la scintillante Undina di Olga Marchenko. Colpisce l’immaginazione Georgy Gusev nel ruolo del ragazzino cieco, un’ombra bianca, un fantasma, abbandonato a un terribile destino.


LA PRINCIPESSINA MARY

La terza novella è la più ampia e popolata dell’intero balletto, ci trasferisce a Pyatigorsk, una stazione di cure termale alla moda dove Pechorin sempre più annoiato cerca di fare credere alla giovanissima principessina Mary di essere innamorato di lei, ma lo fa soltanto per voler irritare Grushnitsky, un giovane superficiale e vanitoso. Finisce col duello e la morte di Grishnitsky, segue il crudele annuncio a Mary, innamorata, di non amarla. Alla stazione termale è presente anche Vera, con cui una volta Pechorin aveva avuto una relazione, che nutre per lui un amore incondizionato nonostante la sofferenza che le ha provocato e sta provocando.

La terza parte di Un eroe del nostro tempo è ambientata in un’ampia sala bianca che potrebbe essere multifunzionale; le ragazze ci vengono per esercitarsi nella danza, gli ufficiali ci vengono per curarsi, la buona società passeggia e intreccia delle relazioni. Ma ci sono anche degli invalidi in carrozzina, vittime di guerra, che turbano la quiete della gente per bene che non vuole guardare la sofferenza e gira loro le spalle. Un’altra trovata di Serebrennikov, invitare al Bol’šoj i campioni dei balli da sala in carrozzina che danno una lezione di virtuosismo accanto ai primi ballerini del celebre teatro: sicuramente, originale ed impressionante. La storia d’inganno e seduzione si svolge in questa sala bianca con degli attrezzi di allenamento: la principessina Mary, un angioletto innocente vestito di bianco candido, non riesce a resistere al fascino diabolico di Pechorin; Vera, avvolta in nero, appare simile a un fantasma; il duello si svolge pure qui, Pechorin e Grushnitsky salgono sui davanzali delle finestre: uno sparo e il nemico cade nel vuoto. La regia è spettacolare, mentre la coreografia di Posokhov non teme di dimostrare la stretta parentela con le strutture del balletto classico russo: include delle variazioni, una serie di pas de deux e i pezzi per il corpo di ballo come mazurka e polonaise. Il teatro sintetico domina anche nella parte finale del balletto: le lettere di Vera, frammenti del testo del romanzo, vengono cantate da un soprano presente in scena.

Di tanti personaggi che popolano il balletto, il protagonista risulta il più enigmatico. Tre Pechorin, tre magnifici artisti chiamati, tre star del Bol’soj chiamate a rivelare la sua anima vagante e infelice: Igor Tsvirko, Artyom Ovcharenko, Ruslan Skvotrtsov. Si fanno ammirare per il loro fisico e bravura tecnica, si esibiscono nei salti vertiginosi, tuttavia la coreografia di Posokhov è piuttosto generica e non favorisce la creazione di un personaggio indimenticabile. La sua arte funziona molto meglio quando si tratta dei personaggi di contorno, ma soprattutto di quelli femminili: Bela e Undina, Mary e Vera. Nell’ultima parte, un’inesperta ragazzina Mary trova un’interprete ideale in Nina Kaptsova e Kristina Kretova offre l’interpretazione magistrale del personaggio di Vera. Ma la vera star della Principessina Mary è un eccezionale Denis Savin nei panni di Grushnitsky, vittima di Pechorin: un ragazzino ordinario, complessato, invidioso del superbo rivale. Un incredibile Savin che sembra fatto di gomma, capace di esprimere i sentimenti più complessi con un movimento del viso o di una mano.

“Spesso, scorrendo col pensiero il passato, mi domando: perché non volli prendere la strada aperta dal destino dove mi aspettavano le solite gioie e la calma dell’anima? No, non avrei potuto sopportare questo destino! Sono come un marinaio nato e cresciuto sul ponte di un brigantino dei pirati: la sua anima è abituata alle tempeste e battaglie e quando viene catapultata sulla riva, si annoia e soffre anche se sente un richiamo di un boschetto ombroso e viene illuminata dal sole pacifico”. Grigory Aleksandrovich Pechorin. Bello, intelligente, demoniaco, fa soffrire o morire tutte le donne che capitano sulla sua strada. Morirà giovane, l’eroe del nostro tempo.


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