Aida e Amneris, smarrite nel regno delle fiabe

di Carlos Rosas T.

Apertura verdiana alla Houston Grand Opera con una produzione di Aida che si ricorderà soprattutto per le ottime prove del cast e in particolare di Liudmyla Monastyrska e Dolora Zajick. meno convincente la direzione di Antonino Fogliani e il fantasioso allestimento in stile Flauto Magico a cura di Zadra Rhodes e José Maria Condemi.

HOUSTON, novembre 2013 - La Houston Grand Opera non poteva trascurare il bicentenario della nascita di Wagner e di Verdi. Infatti la sua attuale stagione 2013-14 è stata inaugurata con la monumentale Aida e dal prossimo aprile partirà, al ritmo di un'opera all'anno, la Tetralogia: Das Rheingold nella realizzazione de La Fura del Baus.

Un'Aida di successo deve coniugare diversi aspetti tra quello vocale, quello musicale e quello scenico, ma in questa occasione non tutti questi elementi erano messi a punto. Iniziamo con l'aspetto più interessante e solido di questa produzione: il cast vocale. Il soprano russo Liudmyla Monastyrska ha combinato perfettamente la forza, la soavità e l'anima del personaggio di Aida, mostrando sicurezza scenica e un canto caldo e uniforme arricchito di espressività e dolcezza. Poco si può aggiungere a quanto non sia già stato detto sull'esibizione di Dolora Zajick, il cui nome è sinonimo ormai del personaggio di Amneris, tra i tanti che le appartengono come Adalgisa, Azucena, eccetera. Il mezzosoprano statunitense, ormai entrato nella storia, ha dimostrato gran energia vocale e drammatica dando vita al personaggio con brio e impeto, manifestando comunque, ove richiesto, dei momenti di raffinatezza. Al suo debutto locale come Radames era il tenore italiano Riccardo Massi di buon carisma scenico e gradevole voce, per quanto dalla proiezione non molto ampia, quasi fredda all'inizio, ma con un crescendo d'intensità emotiva durante l'opera, per concludere la scena finale nel lirismo più assoluto. Il baritono Scott Hendricks ha impersonato un autoritario e vigoroso Amonasro, talvolta con superflua aggressività sia nel canto che nell'azione. Nel ruolo di Ramfis era quasi sprecato il basso Ain Anger, di grande qualità, che ha soddisfatto appieno il suo compito e che meriterebbe la prossima volta un ruolo di maggior spessore. Corretti i comprimari e il coro che, in quest'opera, ha una certa importanza.

L'apporto dell'orchestra risultava diseguale in quanto le scelte dinamiche, talvolta troppo rapide, del direttore Antonino Fogliani hanno causato momenti di sfasamento notevole col palcoscenico.

Lasciamo per ultima la parte meno attraente della realizzazione, ossia l'astratta e colorata scenografia dell'inglese Zandra Rhodes. Quando la messa in scena fu creata nel 2010 a San Francisco, era già stata avanzata qualche critica per questo Egitto immaginario e atemporale che pareva più adatto a un Flauto Magico. Il sovraccarico di decori e figure egizie, costumi esagerati e un costante movimento nei cambi di scena non solo distraeva ma soprattutto disturbava e stancava la visione dello spettatore. Comunque, pur in questa cornice, la regia di José Maria Condemi è stata discreta.