Circo di cristallo

 di Andrea R. G. Pedrotti

 

A. Berg

Lulu

Petersen, Skovhus, Klink, Trost, Sindram

direttore Kirill Petrenko

regia Dmitry Tcherniakov

Orchestra della Bayerische Staatsoper

Monaco di Baviera, maggio 2015

2 DVD Bel Air Classic BAC129, 2017

Era l'autunno del 1888, quando una serie di delitti insanguinò il Whitechapel, quartiere degradato della Londra vittoriana, a opera di uno dei più meticolosi assassini seriali della modernità, Jack lo squartatore.

L'ultima delle cinque vittime la cui morte fu ufficialmente attribuita a lui si chiamava Mary Jane Kelly. Era una prostituta di origine irlandese, aveva venticinque anni e venne ritrovata priva di vita il 9 novembre 1988 nel suo letto all'appartamento di Miller's Court, 13. Di lei è nota la fine: i capelli ramati intatti, il volto mutilato dalle orbite al mento, i seni e le orecchie asportati e posti sul comodino assieme ai polmoni, gli intestini sparpagliati sul letto e poggiati attorno alle mani, i genitali strappati e gettati ai piedi del letto, quasi in segno di purificazione per il mestiere della giovane. Con perizia le era stato reciso il petto e, dopo aver aperto con cura il pericardio, le era stato asportato il cuore, come trofeo.

Di lei questa è la parte nota, l'immagine della fine, ma viene da chiedersi come mai non venga la curiosità riguardo che cosa vi fosse stato nella vita di quel cadavere mutilato. Mary Jane Kelly proveniva da una famiglia di irlandesi trapiantati in Galles, era una studentessa meritevole. A soli diciannove anni, a causa di un incidente sul lavoro, rimase vedova del marito, che aveva sposato tre anni prima. Subito dopo la morte del coniuge si trasferì da un cugino di Cardiff, dovette essere ricoverata in ospedale per un anno. Nella città gallese cominciò a darsi alla prostituzione, visse brevemente in Francia con un cliente, per poi tornare nel Regno Unito, a Londra, fidanzarsi con un giovane di nome Joseph Barnett. Nella capitale inglese, visti gli scarsi guadagni del compagno, ricominciò a prostituirsi e si dette all'alcolismo (si racconta che cantasse irrefrenabilmente, quando era in preda ai fumi dell'alcol). Solo una settimana prima di venir assassinata da Jack lo squartatore, aveva interrotto la convivenza, ma non i rapporti, con Joseph Barnett.

Questa è la breve storia della vita di una delle vittime reali di Jack lo squartatore; Lulu non è altro che la versione estesa dell'esistenza di una presunta vittima del celeberrimo assassino seriale.

Alban Berg, l'autore ispiratosi ai testi di Frank Wedekind, visse in una Vienna che si avvicinava alla fine della sua epoca dorata, nella città dove la pulsione sessuale era evocata di continuo, ma mai dichiarata per convenzione borghese; nella città che, al tempo dell'adolescenza del compositore, avrebbe avuto il record, fra le altre capitali europee, per percentuale di suicidi; nella città che venne definita dai suoi stessi colti abitanti “il laboratorio della fine del mondo”.

Lulu in fondo è sintesi di tutto questo: l'esperienza di una vittima potenziale di Jack lo squartatore e la maturazione artistica di Berg nella sua città, Vienna.

Nell'allestimento andato in scena nel maggio del 2015, la regia di Dmtri Tcherniakov e la concertazione di Kirill Petrenko esaltano i temi più sottili della drammaturgia, asciugandone alcuni aspetti in modo da esaltarne il significato, senza che l'occhio possa essere traviato dall'evoluzione di un intreccio che avrebbe portato la protagonista a una morte tragica quanto lo era stata la sua esistenza.

Già la scena iniziale fa comprendere ciò che ci attenderà: il domatore non lavora in un circo tradizionale, ma in un circo i cui animali sono uomini e donne (ne sono esistiti realmente in una forma più simile a quella di un circo tradizionale), chiusi in gabbie fatte di specchi. È il domatore a comporre le vicende, disponendo i personaggi che susseguiranno nel corso dell'opera: ben riconoscibili, per esempio, Alwa e il Dr. Schön.

 

La sagoma di Lulu viene dipinta sullo specchio di una gabbia, quasi fosse il segno tracciato sul terreno con il gesso da un investigatore, e l'idea è che ella sia, in realtà, già morta. Nella lettura registica di Tcherniakov, Lulu è una donna che non pare voler sedurre alcuno, ma attrae irrefrenabilmente gli istinti animali (d'altra parte tutto è controllato dal domatore) e le pulsioni di tutti gli uomini e delle donne. Sono istinti primitivi e incontrollati a muovere ogni figura che si aggira attorno alla protagonista. La morte è rappresentata in maniera violenta e l'amore è solo espressione di furia erotica. Lulu è frenetica nel tentar di fuggire, senza mai scappare, da ognuno, alterna un senso di scoramento a un'ipermotricità costante e compulsiva. A tratti pare che la gabbia trasparente in cui è chiusa le provochi un'angoscia e una claustrofobia capaci di farle perdere il senno.

Gli intermezzi danzati sottolineano tutto questo: in ogni gabbia del circo del domatore abita una coppia, che vive, all'incirca, la medesima storia di Lulu. Un'idea registica molto intelligente, non solo per la riduzione dell'animo umano alla condizione seriale, ma anche perché priva ulteriormente di umanità la protagonista: è una dei tanti, delle tante, la vittima perfetta per Jack lo squartatore, così come lo fu nella realtà Mary Jane Kelly. A lei l'assassino aveva strappato il cuore anatomico, a Lulu era stata strappata l'anima dal domatore.

Tutto è violenza: la morte del primo marito (un Medizinalrat, ossia una sorta di primario medico); l'orribile sgozzamento con un'accetta del pittore; Alwa, che nel terzo atto viene ucciso violentemente da Ein Neger, un cliente di Lulu che stava tentando di prenderla con la violenza.

Alla fine del secondo atto, Lulu fugge dalla prigione, condannata per l'omicidio del suo protettore Dr. Schön, per rinchiudersi, nell'atto successivo, in una gabbia anche peggiore. Prostituta in un bordello, viene ammirata nella sua gabbia quasi fosse un'attrazione ed è qui che cede all'alcol (come la vittima reale di Jack lo squartatore), osservata morbosamente da ognuno.

La scena della morte è fra le più interessanti: Lulu, braccata dalle forze dell'ordine, è a Londra, spogliata d'ogni bene, incontra un cliente (in realtà Jack lo squartatore) con un cappuccio sulla testa che lo fa apparire completamente calvo, come era calvo il Dr. Schön. Lei pare desiderarlo, adescarlo: gli scosta il cappuccio e, di fronte alle chiome che lo distinguono dall'antico protettore, tenta di nascondergli la capigliatura con le mani, per proseguire forzosamente nella sua suggestione; sembra che lei voglia consumare l'amplesso su una sedia, ma è qui che impugna un coltello a lama corta, nasce una colluttazione ed è Lulu stessa a trafiggersi al grido di “Nein”, come se fosse qualcun altro a vibrare il fendente fatale. Jack osserva il cadavere e pulisce alcuni indumenti dal sangue, quando giunge, in abiti e sembiante androgini, la contessa Geschwitz, colei che aveva sempre desiderato, senza amore, Lulu e che l'aveva fatta scappare di prigione, senza mai esser ricambiata. L'aristocratica, ora, col suo arrivo fa allontanare Jack prima che possa infierire sul corpo esanime di Lulu e la piange, sempre al cospetto dell'onnipresente sagoma in gesso. Lo spettacolo del circo umano è ora concluso.

Il cast vocale ha visto in Marlis Petersen eccellente protagonista, ottima nella gestione dell'ostica scrittura musicale, attrice di altissimo livello, capace di offrire, oltretutto, una prova di resistenza fisica incredibile, visti i continui movimenti che le venivano richiesti.

Degno di lode tutta la compagnia vocale, composta da Bo Skovhus (Dr. Schön e Jack lo squartatore), Daniela Sindram (contessa Geschwitz), Matthias Klink (Alwa), Rainer Trost (il pittore e Ein Neger), Matin Winkler (il domatore e un atleta), Schigolch (Pavlo Hunka), Christian Rieger (il primario di medicina, il banchiere, il professore), Rachel Wilson (un guardarobiere del teatro, un ginnasta, un fattorino), Wolfgang Ablinger.-Sperrhacke (il principe, il valletto, il marchese), Christoph Stephinger (il direttore del teatro), Elsa Benoit (quindicenne), Cornelia Wulkopf (sua madre), Heike Grötzinger (un'artista), John Carpenter (un giornalista), Leonard Bernad (un servitore) e Nicholas Reinke (un commissario di polizia).

Sul podio è maiuscola la prova del direttore musicale della Bayerische Staatsoper, Kirill Petrenko, il quale con varietà cromatiche e scelte agogiche eccellenti riesce a trarre dai complessi monacensi una potenza espressiva e drammatica ai massimi livelli.

Per la parte visiva, oltre al regista, in questo caso anche scenografo, ricordiamo Elena Zaytseva (costumi), Tatiana Baganova (costumi), le bellissime luci di Gleb Filshtinsky e una figura, ahinoi, assente nei teatri italiani, ossia quella del drammaturgo, in questo caso Malte Krasting.