L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Spirito e materia

di Roberta Pedrotti

Händel

Theodora

Watson, Jaroussky, d'Oustrac, Spicer, Thorpe, Clayton

direttore William Christie

regia Stephen Langridge

orchestra e coro Les Arts Florissants

Parigi, Théâtre des Champs-Elysées, 13 e 16 ottobre 2015

2DVD, Erato 0190295889906, 2016

L'oratorio può assomigliare molto all'opera, quello di Händel soprattutto: è quasi un'opera, le sta vicinissimo, si può rappresentare agevolmente in forma scenica. Però, c'è quel quasi. Non è un'opera, ma questo non è un limite, è solo una differenza, ora sottile, ora evidente. Per esempio, l'oratorio viene concepito per essere eseguito senza apparati teatrali, ma questo può far sì che alcuni problemi contingenti siano facilmente superati e dove la scenotecnica e la bienséance avrebbe arrancato, la musica può affronatare le situazioni più ardite e spettacolari. Il coro può cantare di più, le convenzioni standard del genere possono contare di meno.

Non di rado, per la sensibilità teatrale moderna, l'oratorio barocco finisce per funzionare benissimo alla prova del palcoscenico, riservando spesso notevoli soddisfazioni. Ne è un esempio Theodora, che negli ultimi lustri ha fatto innamorare un direttore come William Christie, registi come Peter Sellars e Christoph Loy. Il libretto di Thomas Morell racconta il martirio dei santi Teodora e Didimo al tempo di Diocleziano, ma l'agiografia cede il passo all'interesse per il contrasto fra un mondo pagano totalmente amorale, dissoluto e tirannico nel suo potere assoluto amministrato con la forza e il terrore da una parte, dall'altra il gruppo dei cristiani, votati alla trascendenza e all'ascesi al limite dell'esaltazione mistica. Quando Theodora rifiuta di sacrificare agli dei viene condannata alla prostituzione a essere violentata da un gruppo scelto di soldati imperiali, il che ci offre anche un compiaciuto coro degli stessi che pregustano lo stupro di gruppo. Eros e negazione dell'eros, il primo come violenza e imposizione, la seconda come scelta di libertà difesa fino alla morte. Più che alla sensualità, Theodora guarda ai rapporti di potere, al principio di libertà, alla dedizione a un ideale, anche quando questa può risultare alienante, giacché, se i pagani sono esecrabili nella loro violenza edonista, i cristiani sembrano talmente assorbiti dalla lore fede da perdere ogni contatto con la realtà. La scena dello scambio degli abiti fra Theodora e Didymus - quindi lei che si fa soldato, lui che ne prende il posto nel lupanare dove attende i soldati "clienti" - avvicina in realtà gli innamorati cristiani annullandone la sessualità, in una sorta di sposalizio mistico che nega quello terreno, preannuncia quello celeste. È una vicenda in cui il sesso è centrale, ma alla fine è una vicenda che non ha nulla a che fare con il sesso. E, per di più non così manichea come verrebbe da pensare, perché se il governatore Valens è senza meno il cattivo della situazione e Theodora la buona per la quale Didymus completa la sua conversione fino al martirio, la cristiana Irene sembra un po' troppo esaltata, ai limiti del fanatismo, mentre il soldato Septimius, pieno di buonsenso e di buoni sentimenti, leale verso Didymus, contrario alla condanna di Theodora, resta, comunque, pagano fino alla fine (in realtà, il libretto l'avrebbe voluto convertito sulla carta, ma Händel preferì non musicale questa scena).

Riservando un'esuberanza più terrena ai pagani e un'espressione più elevata, ispirata, generalmente pacata ai cristiani, Händel marca i terreni e definisce la drammaturgia in una varietà espressiva che non è la medesima predominante nell'opera propriamente detta, ma ne rispecchia comunque i principi. Christie con i complessi di Les Arts Florissants rinnova la sua devozione alla partitura, fa teatro sublimando l'astrazione e il contegno dell'oratorio sacro, lasciando respirare i canti dei cristiani così come risuonano scanditi e vacui quelli dei pagani, secche e marziali le vocalizzazioni minacciose di Valens, ariose e limpide quelle celesti di Theodora e Didymus, concrete e schiette quelle di Septimius, inebriate quelle di Irene. Tutto, però, con una cifra costante d'elegante misura, di luminosa chiarezza d'eloquio. Allo stesso modo, il regista Stephen Langridge segue un approccio minimalista, ma minuziosissimo nella recitazione. Scene essenziali, quasi astratte, costumi semplici, nero e al grigio - smoking per gli uomini, lungo da sera per le donne, divise per i soldati - per i pagani, bianchi e umili per i cristiani, un caldo sole che bagna l'orizzonte negli inni celesti, nude pareti di cemento per i palazzi e le carceri dei romani. Le fotografie dei martiri affisse via via, i libri custoditi da fedeli convertiti. Poco altro, solo l'essenziale, lasciando tutto lo spazio ai personaggi sulla scena, alla chiara esposizione delle loro vicende e dei loro affetti.

Il cast accompagna l'aderenza fisica all'eloquenza vocale. Il ruolo eponimo offre a Katherine Watson l'opportunità per una prova intensa, in cui riesce a mantenere la purezza virginale del canto senza venir meno alla drammaticità delle scene del carcere e del martirio, anzi conferendo liliale concretezza alla vocazione spirituale. Philippe Jaroussky avrebbe un timbro un po' troppo fanciullesco e unarticolazione un po' troppo delicata per un soldato che muore per amore, ma poiché Didymus nell'amore trova il distacco da ogni desiderio terreno e muore estatico nella nuova fede, il suo canto angelico risulta, alla fine, più che convincente. Sopratutto perché sul versante cristiano si contrappone all'espressione volitiva di Stephanie d'Oustrac, esaltata ma non parodistica Irene, e a quella accorata di Sean Calyton, messaggero; su quello pagano alla bonaria schiettezza di Kresimir Spicer, ottimo Septimius, e all'implacabile rigore di Callum Thorpe, Valens nondimeno incisivo. 

Il cofanetto è arricchito, nel libretto, interviste a direttore e regista che approfondiscono sia la drammaturgia di Theodora, sia il rapporto di Händel con l'oratorio e la teatralità sempre presente nella sua musica.


 

 

 
 
 

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