Padre di una Patria non sua

di Gabriele Cesaretti

o-patria-miaSimonetta Chiappini

O patria mia

Le Lettere, 2011

ISBN-10: 8860873363 ISBN-13: 9788860873361 Pagine 268

 

Un ulteriore, e per il momento ultimo, libro dedicato al Risorgimento e alla vita musicale italiana del XIX secolo che mi sento di segnalare è l’ambizioso O patria mia (che Simonetta Chiappini ha pubblicato presso Le Lettere) con cui si chiude un’ideale trilogia bibliografico – risorgimentale, inaugurata con Chi per la patria muor / Alma sì rea non ha di Francesco Cento della inEdition editrice e proseguita con O mia patria, di Giovanni Gavazzeni, Armandio Torno e Carlo Vitali, edito dalla Baldini Castoldi Dalai. Il volume è ambizioso sia nella proposta che nella struttura, dato che si svolge come un complesso viaggio storico all’interno di una forma d’arte (il melodramma, appunto) di cui l’autrice cerca di sviscerare i complicati rapporti con i tumultuosi avvenimenti che caratterizzarono il XIX secolo e parte del XX, fino al fascismo. L’imponente apparato di note e la vastità dei temi trattati sono gestiti con disinvoltura, riuscendo a spaziare dalla letteratura (vengono citate sia la mitica Corinna o l’Italia di Madame de Staël che Massimilla Doni di Honoré de Balzac) all’analisi sociologica del melodramma ottocentesco come specchio di una società sempre più chiusa e, per quanto riguarda la figura della donna, sempre più opprimente. È particolarmente interessante l’ultimo paragrafo (Dalla “Giovine Italia” a “Giovinezza”) per l’accurata disamina de L’anima musicale della Patria, corposa raccolta di canti “popolari” (o presunti tali) che Achille Schinelli curò nel 1928 e che venne pubblicata da Ricordi in pompa magna con tanto di dedica a Benito Mussolini. I brani contenuti nella raccolta coprono un arco che va dal 1796 (Inno all’Albero della Libertà) alla famigerata Giovinezza fascista del 1922 e propongono un’analisi del sistema di propaganda fascista molto interessante, dato che fa combaciare l’apparente rivoluzione del movimento fascista (in realtà, come sappiamo, decisamente reazionario nell’ideologia e nell’idea di famiglia) con le aspirazioni rivoluzionarie del Risorgimento: le delusioni per i problemi dei primi anni dell’Italia unita, la rabbia verso la decadenza della società (che si risolse nella seconda metà dell’800 nell’innocuo – ma affascinante – momento della Scapigliatura) venivano superate da canti che proponevano un’esaltazione delle virtù virili del maschio italico e della forza rivoluzionaria dell’Unità.

Come Verdi era stato strumentalizzato quale mito unificante della Patria a fine Ottocento, ora l’impeto giovanile e ribelle del Risorgimento veniva strumentalizzato facendo coincidere le ideologie dei “padri della patria” con le velleitarie aspirazioni dell’impero fascista. L’autrice conclude amaramente: “Ancora una volta Mazzini fu costretto ad essere il Padre di una Patria non sua” e non si può non essere d’accordo dato che ancora oggi il senso di appartenenza alla patria viene mistificato e strumentalizzato dalle stesse istituzioni, per non parlare di alcuni partiti.

Da segnalare il curioso refuso a p.86, in cui si legge che il Simon Boccanegra verdiano sarebbe ambientato (al pari del donizettiano Marin Faliero) a Venezia; quando la trattazione si sposta sull’opera di Verdi (p. 157 e seguenti), però, l’ambientazione ritorna quella giusta (Genova) quindi non sarebbe male correggere nelle future ristampe quest’unica svista.

La quarta di copertina – Gli stranieri ci hanno considerati, per almeno tre secoli, e ancor prima che fossimo una nazione, il “popolo cantante”. Italianità ha significato spontaneo talento musicale, ma anche vocazione alla pigrizia e alla delizia estetica, inerzia politica e inaffidabilità civile. Eppure il melodramma, frutto dello splendore e del malessere di un popolo oppresso, negli anni della riscossa risorgimentale è riuscito a interpretare la necessità di costruire il carattere nazionale: il “volgo disperso” geniale e truffaldino sarebbe divenuto, anche grazie alla musica, un popolo di eroi, di generosi combattenti, di martiri capaci di sacrificio e di coscienza civile. La trasformazione della donna-Italia da femmina violata e sconfitta, destinata a compiacere i vincitori e i potenti, a figura di immacolata redentrice fu rappresentata ed esaltata attraverso le peripezie vocali dell’eroina operistica, il soprano, che con la sua voce ardente e angelica ne incarnava il sublime destino di sacrificio, morte e resurrezione. Questo libro disegna l’intreccio tra melodramma e storia d’Italia, tra passione e politica, esplorando i rivoli sotterranei e i meandri segreti di un’identità nazionale ancora da scoprire.

Pubblicato in collaborazione con Non solo belcanto