Da Mozart a Brahms

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia di Santa Cecilia si discosta ancora dalla linea russo/tardoromantica preponderante in questi ultimi concerti (fil rouge di estremo interesse e affrontato con composizioni d’indubbio valore paradigmatico) per proporre una serata che trascolora dal Classicismo più puro al Tardoromanticismo, passando proprio per il padre fondatore del Romanticismo tedesco: un concerto affascinante, soprattutto per la grande fama delle opere in cartellone. Robert Trevino – sostituente Jaap van Zweden, impossibilitato per gravi motivi familiari –, dal cognome italiano eppur texano di Forth Worth, dirige l’ouverture dall’Oberon di Carl Maria von Weber, la Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 di Johannes Brahms, e il Concerto n. 25 in do maggiore per pianoforte e orchestra K 503, accompagnando al pianoforte Benedetto Lupo, che gioca in casa e ci propone un’interpretazione dolce e al contempo brillante. Il concerto è molto apprezzato.

ROMA, 23 febbraio 2016 – Abbiamo da un po’ lasciato la Russia (geografica e non) della prima metà del Novecento o il Tardoromanticismo mitteleuropeo su cui l’Accademia di Santa Cecilia aveva indugiato proponendo un’interessante infiorata di concerti. L’odierno cartellone prevede un’antologia di opere fondamentali delle rispettive epoche e fondanti per quelle successive: si parte dal Classicismo mozartiano, passando per il romanticismo fantastico di Weber, arrivando al Tardoromanticismo più intellettuale di Brahms. Il direttore Robert Trevino, texano, sostituisce l’atteso Jaap van Zweden: un direttore certo acerbo, che si sta facendo largo fra lo sconfinato sottobosco di bacchette che popolano oggi le scene internazionali, per giunta al suo esordio all’Accademia, verisimilmente con poche prove alle spalle. Fa, si può capir bene, quel che può: alcune cose riescono meglio di altre.

Nel primo pezzo, il celebre ouverture dell’Oberon di Weber (meno famoso di suo fratello maggiore, quello del Freischütz), si percepiscono già i punti deboli di Trevino, i tratti su cui deve ancora migliorare – giacché ampi margini di miglioramento ci sono. La sfortuna ha voluto che il volubile corno abbia intonato, proprio in apertura di pezzo, un periclitante trittico ascendente, proprio le note designanti l’atmosfera romantica par excellence; il resto dell’Adagio è troppo impaludato, fin quasi allo sfibramento; ma la sortita dell’Allegro è ben cavalcata, le pulsioni ascendenti degli archi alti (firma weberiana) sono ben centrate. Il direttore mostra di sentirsi più a suo agio in un’agogica coreutica, movimentata. L’Oberon viene applaudito.

Pochi indugi e entra Benedetto Lupo, professore di pianoforte nei corsi di perfezionamento dell’Accademia e da qualche mese accademico effettivo, dall’ormai ragguardevole carriera internazionale. Sceglie di portare il Concerto per pianoforte n. 25 K 503, famosissimo, affrontato all’Accademia, nel corso di più di mezzo secolo, da pianisti del calibro di Benedetti Michelangeli e Gulda, la cui cadenza per il primo movimento Lupo sceglie di eseguire. Nel 2014, in una riuscitissima soirée mozartiana, questo concerto l’ascoltammo eseguito dall’istrionico Alexander Lonquich. L’intesa fra Trevino e Lupo è subito spedita: il K 503 si rivela essere, qualitativamente, il miglior pezzo della serata. Sull’Allegro maestoso, Trevino esegue compostamente il primo tema e il successivo in minore, preparando l’ottimo ingresso – in punta di piedi – di Lupo, che ci regala una lettura pulitissima, tersa, giocante con chiari colori e muovendosi dal piano al mezzo-forte, sforzandosi con naturalezza di raggiungere una brillantezza sonora che non è mai disattesa. Come si evince dal piacere provato per la cadenza di Gulda, Lupo si concentra molto sul dato estetico/sonoro, sondandolo alla ricerca della miglior piacevolezza. La scelta di una soffice dolcezza si sposa perfettamente coll’Andante sostenuto, imperniato su una scrittura carezzevole e fatata: Lupo stupisce nella delicatezza d’esecuzione dei trilli e delle acquatiche scale. Nell’Allegretto ancora un magnifico tocco coniugato a un’esecuzione speditissima dello sfizioso rondò, quasi coccolato. L’orchestra accompagna divinamente: Trevino è ben nella partitura. Lupo riceve qualche “bravo!” e il concerto è lautamente applaudito.

Giunge infine il Tardoromanticismo: la Prima di Johannes Brahms (che era la Decima per Hans von Bülow). L’orchestra è da mesi tarata su queste sonorità: Trevino non deve faticare a trovare il giusto sound. Eppure, l’introduzione (Un poco sostenuto) del I movimento è troppo marcata energicamente, troppo marzialmente scandita (s’ascolti l’esecuzione, magistrale, di Karajan del 1978 coi Berliner); fortunatamente nell’Allegro tornano delle oasi riflessive dei legni che riportano il texano a un’agogica più sensata, ma non certo meno sussultante: l’ampliamento volumetrico, l’uso sciolto dell’orchestra, caratterizzano il resto del movimento, terminato bene in una sorta di pedale d’organo. La sua lettura della partitura migliora sensibilmente dal II movimento: l’espressione lirica dell’Andante sostenuto si manifesta nella dolce melodia degli archi alti; Trevino sente il tutto con una contemplazione quasi religiosa; il finale, dalle nuance ciajkovskijane, vede un ottimo assolo del primo violino, terminante su un filato acuto, eccellente, su un tremolio degli archi. Ben centrato anche il III movimento, una «delicata poesia tipicamente brahmsiana» (F. Serpa, dal programma di sala). Trevino conclude bene (benché lungi dalla perfezione) sull’elefantiaco finale: le parti sono ordinatamente scandite, l’Allegro scorre vividamente e il tema della gioia che fu di Beethoven risuona in tutta la sua liricità. La citazione è un’intuizione geniale: la ieratica nobiltà della Nona s’intravede solo come famoso ipotesto. Qui Brahms mirava al carattere più immediatamente popolaresco, più umano, della melodia. Una progressiva luce si fa strada fra le increspature armoniche fino al trionfante finale. La Prima di Brahms non l’ascoltavamo in Accademia dal 2013, quando Pappano ce ne regalò un’eccellente versione. Gli applausi sono tutti soprattutto per la musica, per il grande ingegno di Brahms.