Voce di donna, o d'angelo

 di Andrea R. G. Pedrotti

In occasione della Festa della Donna a Verona concerto del Coro femminile della Fondazione Arena.

VERONA, 9 marzo 2016 - In occasione della festa della donna, la Fondazione Arena ha pensato di proporre un concerto quasi interamente al femminile, affidandosi all'arte del coro femminile e a uno strumento fra i più femminili che si possano immaginare - almeno per il sesso della maggior parte delle interpreti -, cioè l'arpa. Un concerto dalla forte impronta cameristica, pensato con l'intenzione di attraversare i varii continenti e le varie culture, in un percorso cronologico conclusosi, tuttavia, con il più anziano di tutti i compositori ascoltati.

Partiamo dalla vecchia mitteleuropa e da un autore tedesco, come Johannes Brahms. Siamo nel pieno romanticismo, il vero senso di un rapporto con un sesso, molto più incline, rispetto all'uomo, a un rapporto che contempli un coinvolgimento totale, al di là della mera fisicità. È ovvio che solo un compositore trapiantato a Vienna, come accadde a Brahms e molti altri, avrebbe saputo trasmetterlo: in fondo, si sa che la capitale austriaca è da sempre fulcro dei tormenti dell'animo umano. L'arpista, Laura Recchia, e i due cornisti, Andrea Leasi e Domenico Guglielmello (impegnati solo in quest'occasione), seguono bene la linea musicale imposta dal maestro del coro, e concertatore d'occasione, Vito Lombardi. Bella, in ogni caso, l'esecuzione del Vier Gesänge op. 17 con gran partecipazione, da parte di tutti gli interpreti.

Restiamo in area austro-tedesca, nella stessa epoca, con Josef Gabriel Rheinberger e il suo Wie lieblich sind deine Wohnungen op. 35, il quale mantiene il nostro stato d'animo sentimentale, ma questo viene circoscritto al sogno e all'amore, o forse il sogno d'amore; così il nostro pensiero non può esimersi dal correre alle giovani ragazze borghesi della Belle époque, che passarono dalla frequentazione assidua di collegi femminili, o dall'istruzione di severi precettori a una vita matura, dopo una giovinezza fatta di speranze e romanticherie, purtroppo, dimenticate dalla contemporaneità.

Quale luogo, più d'ogni altro, ci rammenta, tuttavia, queste passeggiate di fanciulle dagli entusiastici occhi aperti e vivaci, se non la campagna. La campagna inglese, ovvio, ma anche quella francese offre grandi prati e, per quei prati, scorrono spesso placidi e incessanti ruscelli, perciò di Gabriel Fauré abbiamo potuto ascoltare, con piacere, proprio Le Ruisseau op. 22. Restiamo nella terra vinta da Giulio Cesare, che, nel De bello gallico, ci racconta come le sue legioni seppero vincere la resistenza di Vercingetorige ad Alesia, grazie alla strategia. Vercingetorige era un uomo, come lo era Cesare e vincere la resistenza di una città è una propria scelta e, con i mezzi e un piano adeguato, è semplice risultar vincitori. Vincitori in guerra è facile, perché è l'uomo che decide di conquistare, ma con le donne è diverso, perché esse appartengono al firmamento dell'animo, perciò non è il condottiero che sceglie, ma l'eventuale conquistata a far credere al suo animo, rozzo e grezzo, di aver ceduto, sebbene fosse stata lei stessa a compiere una scelta. Gli occhi delle donne sono stelle del cielo perché sanno brillare di luce propria, quindi Claude Debussy (che di immagini bucoliche ne offrì parecchie), non poteva negarci un'ode allo splendente corpo celeste con Nuit d'etoiles.

Prima abbiamo nominato un grande condottiero di un impero dell'antichità, come Giulio Cesare, ora passiamo a un compositore (condottiero del sentimento, in qualche modo), che ebbe i natali in un altro grande impero, ossia l'Inghilterra vittoriana. Gustav Holst ci racconta i suoni di terre lontane, conosciute grazie alla colonizzazione, trasportandoci in India. Surama scelse e vinse le resistenze del serio e posato Yanez, come Marianna concesse il proprio cuore al principe Sandokan, in una storia d'India e d'Inghilterra, narrata da un celebre veronese, come Emilio Salgari. Il fascino e la complessità dell'animo femminile, nella sua lineare irrazionalità, abbatte ogni confine e diviene totale e ci viene raccontato nei brani Choral Hymns from the Rig Veda e Two Eastern Pictures.

Ci avviciniamo ulteriormente ai giorni nostri con Benjamin Britten (unico autore del concerto ad aver vissuto tutta la sua esistenza nel XX secolo), con una selezione dal suo A Ceremony of Carols op. 28 di cui abbiamo ascoltato il Wolcum Yole! (n.2) – This little Babe (n.6) – Deo Gracias (n.10). Questo brano, come ha ricordando Vito Lombardi, viene generalmente eseguito da un coro di voci bianche, ma con delle coriste adulte, l'effetto non è certamente venuto meno.

Penultimo brano del pomeriggio all'insegna della coreografia. Un canto tradizionale spagnolo di anonima paternità, come El Vito, concede al complesso areniano di esibire rossi ventagli e danzare sulle note prodotte dalle corde dell'arpista e dalle loro ugole. Grande entusiasmo del pubblico, in quest'occasione, giunto sino all'applauso ritmato, eseguito all'unisono con le artiste.

Tempo e spazio si annullano nel capolavoro di Jacques Offenbach, Les Contes d'Hoffmann, e la sua notte d'amore e d'ebrezza, vissuta attraverso la Barcarolle. Un attimo di follia che può condurre all'eternità. Al termine applausi molto convinti e richiesta di bis, concessa, per Offenbach.

Interessante notare come tutti i brani, la maggior parte dei quali poco noti, siano stati presentati dal m° Vito Lombardi in maniera simpaticamente didattica.

Il prossimo appuntamento con il sinfonico della Fondazione Arena è atteso per il 18 marzo.