L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ivan Fischer dirige la Budapest Festival Orchestra

Respirare l'eternità

 di Roberta Pedrotti

Splendida per grandezza e nobiltà di suono la Terza Sinfonia che ha inaugurato il trentacinquesimo Bologna Festival con fieri complessi ungheresi diretti da Ivàn Fischer e impregnati di spirito mahleriano, ben condiviso dal coro femminile di Santa Cecilia e da quello infantile del Comunale cittadino.

BOLOGNA, 15/03/2016 - Una folla densissima si accalca all'ingresso, quasi non ci si riesce a muovere nell'atrio del Teatro Manzoni, se non trascinati dalla corrente in un moto convettivo fra ingresso, postazioni per il ritiro e l'acquisto dei biglietti, accesso alla sala ancora sorvegliato dalle solerti maschere.

L'attesa per l'inaugurazione del trentacinquesimo Bologna Festival è densa, scalpitante, e ce n'è buona ragione, tanto più che in programma questa sera abbiamo la Terza di Mahler data con tutto il gran dispiego di mezzi che le si conviene e il cittadino coro di voci bianche del Comunale (preparato da Alhambra Superchi) a unirsi al coro femminile dell'Accademia di Santa Cecilia (direttore Ciro Visco), al contralto solista Gerhild Romberger e alla Budapest Festival orchestra sotto la direzione di Ivàn Fischer.

Che con la compagine ungherese non si scherzi è chiaro già prima del concerto, quando, prendendo posto in sala, li sentiamo accordarsi e scagliare sulla platea ancora illuminata e vociante annunci d'eternità che ci fanno sobbalzare. Quando, poi, Fischer alzerà la bacchetta e inizieranno a suonare sul serio, allora potremo godere nel senso più proprio del termine di una ricchezza sonora, di una qualità esecutiva di classe superiore. Basti pensare al nitore penetrante di tutte le prime parti – flicorno esterno gloriosamente incluso – e all'impasto compatto e poderoso delle sezioni, tutte perfettamente coese e distinte in un corpo sonoro dal velluto seducente. Perfino la maestà potente, se non prepotente, degli ottoni ha un morbido smalto d'aristocratica eleganza che fa il paio con il principesco splendore del violino di spalla.

Nel vederli come nel sentirli suonare si è coscienti di trovarsi al cospetto degli eredi della civiltà musicale da cui emerse Mahler stesso e di cui Ivàn Fischer è un modello ideale. Radici ebraiche immerse in quello che fu l'impero austroungarico (boemo Gustav, magiaro Ivàn), studi viennesi saldissimi con Swarowsky e Harnoncourt: lo spirito di questa musica sembra far parte del DNA del direttore, che la guida con precisione infallibile, attenzione certosina e una grandiosità di respiro che è un tutt'uno con il carattere specifico dell'orchestra. Si ravvisa, così, in questa lettura, un senso di naturalezza, d'ineluttabilità innata, che non attende la scintilla di un'analisi originale. È, invece, la pura, intima, espressione di uno spirito condiviso anche nei contrasti, negli eccessi, nell'infinito dolore e nell'infinita ironia, nel giustapporsi e nel mescolarsi del canto fatale della Notte - voce di un abisso nelle cui più recondite profondità si inseguono un gioioso impulso dionisiaco (i versi sono di Nietzsche) e una pena aterrima – e dello scampanìo festoso delle voci dei fanciulli e delle donne nella solita meditata ingenuità tratta dalla raccolta del Knaben Wunderhorn. Qui appare non meno evidente e ineluttabile la grandezza del coro femminile di Santa Cecilia, che può con orgoglio ben dirsi il primo in Italia e uno dei migliori al mondo, così come potranno dirsi orgogliosi i bolognesi della bella figura dei loro giovani cantori in cotanto contesto.

Solista, Gerhild Romberger trova un colore veramente ultraterreno, indaco si direbbe con sinestetiche corrispondenze, per un attacco particolarmente perturbante del canto notturno, modulando poi con sensibilità profonda sia i versi oscuri di Nietzsche sia la parabola più lieve del pentimento e dell'assoluzione eterna di S. Pietro.

Immersi totalmente nel mondo di Mahler, nella sfrontata immensità di questa estesissima Sinfonia, con i suoi ben sei movimenti, ci risvegliamo come ebbri d'eternità, di grandezza, di opposti sensi impressi nell'animo del grande austroungarico, rievocati dai suoi eredi austroungarici e mediterranei. Gli applausi non sono meno immensi e fragorosi, fino a persistere ritmati fra le acclamazioni.


 

 

 
 
 

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