Verona, Mihaela Marcu e Clarissa leonardi dirette da Francesco ivan Ciampa

Amor sacro e amor profano

 di Andrea R. G. Pedrotti

Dallo Stabat Mater di Pergolesi al Romeo e Giulietta del contemporaneo Vittorio Vedovato, per concludere con l'ekphrasis musicale delle Vetrate di chiesa di Respighi. Sul podio dei complessi veronesi, Francesco Ivan Ciampa, voci soliste nel primo brano Mihaela Marcu e Clarissa Leonardi.

VERONA, 24 marzo 2016 - Nella giornata di giovedì santo, e in replica venerdì, la Fondazione Arena di Verona propone un concerto in omaggio all’imminente Pasqua cristiano-cattolica. A differenza di quanto ascoltato nell’appuntamento al Teatro Ristori la scorsa settimana [leggi la recensione] abbiamo avuto il piacere di ascoltare un programma non scontato. La prima parte del concerto era completamente incentrata sullo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi. Nonostante la curiosa assenza della gabbia acustica, sostituita da un telo celeste sul fondo del palco, non si sono riscontrati problemi nella corretta diffusione del suono, ben amalgamato e piuttosto corposo nelle sonorità.

Sicuramente la composizione di Pergolesi non si può dire intensa quanto quella di Gioachino Rossini, specialmente in numeri come Cujus animam gementem, Sancta Mater, o, soprattutto Inflammatus et accesus; senza parlare dell’assenza, anche nel testo, dell’entusiasmante Amen. In sempiterna saecula, scritto dal compositore pesarese oltre cento anni dopo. Per lunghi tratti dell’omaggio al dolore della madre di Cristo, lo struggimento di una donna viene sublimato in una preghiera musicata da Pergolesi mediante due vocalità femminili. Entrambe le artiste protagoniste di questo primo sinfonico primaverile erano impegnate nel recente Rigoletto della Fondazione Arena [leggi la recensione]. Mihaela Marcu (soprano) riesce nell’ardua impresa di superare nell’eleganza del canto quella del bell'abito indossato, dalla tinta brunita, parimenti al colore del timbro del soprano rumeno, che evidenzia –ancora una volta- una straordinaria padronanza tecnica, morbidezza d’emissione e fraseggio curato. Molto belli i filati, perfetta la gestione dei fiati e ottimale l’omogeneità dei registri, sempre sonori, ma mai forzati o fastidiosamente gonfiati. Di assoluto rilievo l’intensità del fraseggio, caratterizzato da una precisa accentazione espressiva sul testo latino, che si dimostra ottimamente compreso dall’artista di Timişoara. Considerata l’epoca di scrittura del testo della preghiera (XIII secolo, probabilmente a opera di Jacopone da Todi), è da rimarcare l’assoluta precisione della pronuncia ecclesiastica e la perfetta scansione di dentali e sibilanti, in chiusura di ogni parola nella sua forma flessa (nominale o verbale che sia), eludendo il rischio di una lemmatizzazione, che all’orecchio farebbe perdere il senso del periodo.

Purtroppo il medesimo discorso non è possibile per il mezzosoprano Clarissa Leonardi, simile alla collega nella linea della veste, ma che evidenzia numerose problematiche, quali un’emissione sovente forzata, frequenti asprezze e dei centri solo discreti. La giovane cantante desta ben più d’una perplessità in un registro grave difficoltoso e in un acuto poco incisivo. Inoltre notiamo molti fiati mal gestiti e il tentativo d’un trillo, sicuramente non memorabile. Anche sul versante del fraseggio le cose non migliorano, con una lettura piatta del testo latino, una diffusa avarizia di accenti e, contrariamente alla Marcu, numerose omissioni nelle desinenze, indispensabili – come detto – alla comprensione del testo.

Sul podio il m° Francesco Ivan Ciampa guida bene l’orchestra veronese, rispettando lo stile settecentesco, con un fraseggio che ci si aspettava veemente da parte dello storico collaboratore di Daniel Oren, mentre egli cerca un maggior scavo di significati, senza rinunziare all’intensità. Le sezioni sono ben equilibrate. Forse, ma questa è un’osservazione unicamente dettata dal gusto dello scrivente, sarebbe stato apprezzabile più impeto sul finale, considerata la tragedia narrata dal sentimento d’una madre che vedeva trucidato il frutto del proprio seno.

Molto bene il coro della Fondazione Arena, che pare stia trovando un miglior amalgama, sotto la nuova guida del preciso m° Vito Lombardi.

Nella seconda parte abbandoniamo temporaneamente il sentimento religioso, appropinquandoci a quello imperfetto, disordinato e complesso, tipico delle semplici anime umane. È la volta di Romeo e Giulietta, breve composizione del musicista contemporaneo Vittorio Vedovato, veronese come i personaggi da lui narrati. Curiosamente per un autore a noi coevo (Vedovato ebbe i suoi natali a Bassano del Grappa nel 1959), la sinfonia è caratterizzata da una melodia insistita quanto piacevole all’orecchio. Pochi minuti a riassumere la tragica storia d’amore e morte della giovane Capuleti (la cui tomba si troverebbe idealmente a pochi passi dal Teatro Filarmonico) e il passionale Montecchi. Forse questo è stato il brano più applaudito, non solo per la precisa concertazione del m° Francesco Ivan Ciampa, ma anche per la presenza in sala del compositore, avvicinatosi al podio del direttore d’orchestra, terminata l’esecuzione, per ricevere anch’egli il tributo meritato.

Siamo partiti dal 1700, passati dalla contemporaneità, e ora non ci restava che affrontare un’epoca mediana, con un’altra composizione tipicamente religiosa, come Vetrate di chiesa di Ottorino Respighi. Religiosità e passione in questo brano, anche nella nomenclatura dei vari movimenti. Quello iniziale, La fuga in Egitto, è una prima citazione nel nuovo dell’antico testamento, negli scritti successivi. Giuseppe e Maria fuggono dalle rive del Giordano per evitare che la prole cada vittima della furia di Erode, proprio nelle terre dei Faraoni, che non risparmiarono la medesima sorte ai primogeniti maschi d’Israele. Una sorta di controesodo, che si troverà, in seguito, anche nei quarant’anni di errante condanna al popolo ebraico, colpevole di aver adorato una divinità in forma iconica e pagana, paragonabili ai quaranta giorni di digiuno di Cristo, per propria scelta, non punito per aver ceduto a una tentazione, ma a cercar di resistere alle tentazioni del demonio. Meno misticismo e più sostanza fisica in temi, probabilmente, non casualmente ripetuti. Questo minor misticismo, e la conseguente semplificazione fisica, si avvertono anche nella musica di Respighi, il quale, fedele alla sua epoca, insiste su grandi sonorità intense, riconducibili al martirio di Maria, come a quello di Romeo e Giulietta. Il secondo movimento, S. Michele Arcangelo, è più simbolico della battaglia che l’“Angelo personale del Signore” (come viene chiamato nella Bibbia) condusse come comandante delle milizie vittoriose, sconfiggendo personalmente il drago inviato dal demonio, in questa sorte di grande Teogonia (pensiamo a Esiodo) biblica, poi ripresa nell’Apocalisse, con lo stesso Arcangelo protagonista. Torna la spiritualità, con Il mattutino di S. Chiara, donna inferma nel corpo e non nell’anima (come, invece fu la Maria della Stabat Mater iniziale), che viene condotta “alla chiesa di santo Francesco e ivi udì l’ufficio” – come riportato in I fioretti di San Francesco. In una sinfonia non poteva mancare un omaggio a S. Gregorio Magno (titolo del quarto e ultimo movimento), il quale, oltre a confrontarsi, con peste, longobardi e Chiesa d’Oriente (che ad oggi lo venera come santo al pari di quella romana), promosse il canto liturgico, con il conseguente ampliamento della Schola cantorum. Quindi è la musica a fare da cesura a un concerto per le festività pasquali cattoliche. Anche in quest’ultimo segmento musicale il m° Ciampa si è distinto per una bella lettura di fraseggio e per un incremento dell’intensità, adeguato ai temi e alla partitura. Tutte sezioni sono gestite con ordine e disciplina, senza sbavature e molta precisione.

Al termine un pubblico non particolarmente numeroso, anche in relazione al fatto che ci trovavamo in una serata infrasettimanale, ha tributato a tutti gli interpreti un successo colpevolmente tiepido.