Orla Boylan, Brendan Gunnell, Jeffrey Tate

Traiettorie wagneriane

 di Alberto Ponti

Al festival La voce e l'orchestra Jeffrey Tate esplora i meandri dell'operismo tedesco

TORINO 16 giugno 2016 - Il concerto di giovedì 16 giugno ha segnato il gradito quanto atteso ritorno sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, dopo oltre un anno di assenza, del suo direttore onorario Jeffrey Tate, mai dimenticato dal pubblico torinese, con pagine di due autori a lui particolarmente congeniali come Richard Wagner (1813-1883) e Richard Strauss (1864-1949).

Il maestro inglese, a cui da giovane furono profetizzati pochi anni di vita per via della spina bifida che lo affligge dalla nascita, passata la soglia dei settanta continua invece a dirigere in tutto il mondo, e la sua apparizione all'auditorium di via Rossini è salutata da un lungo, vibrante applauso che si rinnoverà puntuale e crescente al termine di ogni brano in programma.

I raffinati impasti timbrici del preludio dal Parsifal eseguito in apertura sono resi con una sensualità già quasi debussiana, appena accennata nel fremito iniziale degli archi per estendersi gradatamente a tutta l'orchestra fino all'entrata degli ottoni col leitmotiv del Graal. Tate dirige con movimenti precisi, misurati, equilibrati, di grande eleganza visiva e chiarezza tale da rendere lo stacco dei tempi perfettamente intelligibile anche dal pubblico.

Seguiva la terza scena del primo atto de Die Walküre, il mirabile duetto di Siegmund e Sieglinde, nel quale buona parte dei temi conduttori della Tetralogia si fonde in un quadro di impressionante densità, a costituire uno dei vertici dell'arte wagneriana. Il tenore Brenden Gunnell e il soprano Orla Boylan sono due voci giovani e irruente, entrambe di buon tecnica, con margini di crescita in un'espressione che a tratti risulta troppo uniforme senza cogliere tutte le sottigliezze della scrittura di Wagner (penalizzate un poco da una dizione tedesca anch'essa migliorabile), ma assai adatte ai ruoli eroici che sono chiamate a rappresentare. La concertazione di Tate denota sempre estrema intelligenza e crea il giusto bilanciamento fra i cantanti e la massa degli strumenti: i protagonisti non sono mai sopraffatti dall'orchestra e nel cangiante, colossale flusso sonoro si stagliano in evidenza i profili di legni ed ottoni (con la prestazione superlativa di oboi e clarinetti), in un inesauribile gioco di scambi e rimandi tematici che affermano la cifra stilistica più innovativa del compositore tedesco e sono qui condotti con esemplare e lucido nitore.

In una continuità ideale, dopo l'intervallo venivano presentate due pagine del grande epigono Richard Strauss, presente tuttavia non nella veste di artificiere della Germania guglielmina pronto a dare fuoco a spettacolari polveri orchestrali (con le fiamme dell'incendio che rischiano a volte, in tempi non sospetti, di incenerire l'edificio della tonalità) quanto in quella, posteriore, di indagatore delle potenzialità timbriche di complessi più ridotti.

I quattro interludi sinfonici da Intermezzo (1924) e il finale da Arianna a Nasso (1912) fanno parte di due opere assai meditate, in cui l'enfant terrible degli anni giovanili ha ormai ceduto il passo a un più pacato costruttore del dubbio, sia pur con mezzi saldamente tradizionali, in un mondo musicale che stava vivendo la rivoluzione operata da autori come Bartók, Schoenberg e Stravinskij. In questa occasione emerge invece l'abilità del direttore di cogliere, con una lettura analitica e priva di ogni enfasi tardoromantica, la sottile ironia di pezzi in cui gli ultimi flutti della grande onda del sinfonismo ottocentesco si frangono di fronte a un senso dell'orchestrazione già pienamente contemporaneo. Negli episodi puramente strumentali i timbri secchi di pianoforte, celesta e percussioni acquistano ampio spazio e interrompono gli accenni di valzer sui quali gli archi, come a evocare un sogno ormai impossibile, sembrano indugiare, mentre nell'estratto da 'Ariadne' sono impegnati ancora una volta Gunnell e la Boylan. I due mostrano di trovarsi a proprio agio in ruoli dai contorni meno netti degli eroi della Tetralogia, ma che sono nondimeno gli eredi legittimi di quell'universo musicale che ha inizio con Wagner e che trova in Richard Strauss l'ultimo autentico e commosso cantore.