Anita Rachvelishvili e  David Aladashvili

La tigre georgiana ritorna alla Scala

 di Pietro Gandetto

Primo recital solistico di Anita Rachvelishvili al Teatro alla Scala. Un trionfo indiscusso per il mezzosoprano georgiano accompagnato dal pianista David Aladashvili in un repertorio transfrontaliero che spazia da Rossini a De Falla con Rachmaninov e Tosti. Circa trenta minuti di applausi e quattro bis. 

Milano, 19 dicembre 2016 - È tornata da Regina alla Scala, in quel teatro che la battezzò come cantante e la lanciò tra le star internazionali dell’opera quel 7 dicembre del 2009 che tutti ricordiamo. Da più di un anno Anita Rachvelishvili era assente dal palco del Piermarini. E l’accoglienza trionfale tributatale dal pubblico è sufficiente per capire quanto il mezzosoprano mancasse a Milano e all’Italia. Speriamo di non dover aspettare un altro anno per rivederla alla Scala.

Due ore di musica intensa e grondante di significati, proprio come la sua voce. Un programma che spazia da composizioni georgiane alle pagine più celebri del canto da camera di Rachmaninov, per giungere a Manuel de Falla e a Francesco Tosti passando da Rossini. Mondi diametralmente opposti, ma in realtà molto vicini, perché accomunati da quell’ineffabile esotismo musicale di cui Anita Rachvelishvili è massima rappresentante.

Ed è proprio in questo programma che raffiora la sapienza e l’esperienza delle Carmen, Amneris, Azucene e Dalila che il mezzosoprano georgiano ha saputo di dominare negli ultimi dieci anni. Ruoli che dimostrano la perfetta evoluzione di un’artista che ha dimostrato di saper attraversare territori musicali diversi, di infrangere le barriere dei generi e dei repertori, con la stessa classe e gli stessi riscontri di pubblico e critica.

Non c’è in Anita alcun sentimentalismo, ma un’emotività naturale che si esprime attraverso la musica e che nella musica trova la sua massima realizzazione. Un fascino ineffabile e selvaggio nell’esternazione di una musicalità innata e di un grande talento musicale e scenico. 

La prima parte del concerto è un inno alla Georgia, intesa non solo come nazione, ma anche come modo di essere. Un luogo ideale, crocevia di culture e d’identità differenti, dove la musica d’arte occidentale si è nei secoli fusa con la ricca tradizione popolare locale. La voce di Rachvelishvili è un prisma attraverso cui si vedono, come fasci di luce, le varie facce della guerra, dal dolore dei profughi e dei rifugiati a quello delle vittime di repressioni, non solo per motivi razziali. Il resto è silenzio di Nikoloz Rachveli – Memanishvili (1979) è un ciclo di tre liriche in prima esecuzione assoluta, composto appositamente per gli interpreti di questo concerto.

Il momento più emozionante, neanche a dirlo, sono le Siete Canciones Populares Espanolas di De Falla, geniale sintetizzatore di quella matrice spagnola e di quella suadente allure francese di cui Anita è emblema indiscusso. Lo spirito di una Spagna d’inizio novecento unito allo sbiadito decadentismo di Parigi (dove De Falla compose questi brani) si realizza appieno nella gitaneggiante personalità di Rachvelishvili. Sensuale e dolente, intrigante e impetuosa, autorevole e angelica, sono solo alcuni degli aggettivi che caratterizzano questa esecuzione. Un registro contraltile che brilla di una luce profonda e si piega alle esigenze dell’autore come nella declamazione conclusiva di Polo, “Y quien me lo diò a entender” – un fiume in piena.

I meriti di questi fasti vanno anche al pianista David Aladashvili, partner professionale del mezzosoprano georgiano. Un connubio musicale perfetto e una consolidata sintonia d’intenti, grazie alla quale la linea vocale è corroborata da una linfa strumentale solida e fresca.

A fine concerto, circa trenta minuti di applausi inframmezzati da quattro bis: l’aria del Samson et Dalila "Mon coeur s’ouvre a ta voix"Malìa di Tosti e le due arie di Carmen che abbiamo sentito cantare da Anita qualche centinaio di volte, ma che risplendono sempre come se fosse la prima.

Standing ovation e altre richieste di bis. Oltre ai "Brava!", qualcuno urla "Eboli!", qualcun altro "Azucena!". Insomma, pubblico in delirio, com’è naturale che sia, perché lunedì sera non era solo un concerto, ma anche una festa e questa non è solo una recensione, ma la testimonianza di cosa avviene in teatro quando ci sono artisti come Anita Rachvelishvili, che sono anche come vecchi amici, perché gli artisti veri, quelli che toccano l’anima, sono maestri e amici.