kirill Petrenko

Al cospetto dello zar Kirill

 di Alberto Ponti

Una superba Patetica di Čajkovksij chiude il 2016 dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.

TORINO, 23 dicembre 2016 - Se ne parlava da settimane. Il ritorno a Torino di Kirill Petrenko, prossimo direttore designato dei Berliner Philarmoniker, che avevamo ascoltato per l'ultima volta sempre alla guida dell'orchestra Rai nel 2013 in uno straordinario concerto wagneriano, era un boccone prelibato per i palati più esigenti.

Che il quarantaquattrenne siberiano abbia personalità da vendere è evidente fin dall'attacco del primo dei due pezzi in programma, la Sinfonia n. 35 in re maggiore Haffner (1782-83) di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791).

La qualità e la compattezza del suono sono fenomenali, così come il bilanciamento delle varie sezioni strumentali, ma questa perfetta messa a punto risulta spiazzata dalla scelta di un tempo incomprensibilmente lento. Dell'Allegro con spirito e soprattutto del divino gioco mozartiano non rimane traccia alcuna all'interno di una lettura grave e drammatica, ai limiti dell'esasperazione.

Poi, il secondo tempo spalanca ex abrupto le porte del paradiso: il canto dei violini è terso e luminoso, perfetti gli inserimenti nel contrappunto degli altri archi. Dal podio provengono indicazioni minime e raccolte ma l'orchestra è pronta ad obbedire ad ogni sguardo o gesto, sempre chiarissimo, con la massima immediatezza.

Dopo un minuetto nuovamente al rallentatore (se Petrenko non fosse un antidivo per eccellenza verrebbe quasi da pensare a un divertimento ad imitare Glenn Gould nell'autopsia di certe sonate beethoveniane), il Presto finale si trasforma in un altro prodigio di leggerezza ed equilibrio, nonostante Mozart metta in campo un organico massimo per il Settecento, con le scale rapide dei legni punteggiate dai gioiosi interventi di timpani e ottoni a evocare ante litteram le montaliane 'trombe d'oro della solarità'.

La consapevolezza di trovarsi di fronte a un musicista fuori dal comune diventa quindi opinione consolidata quando con la mesta e sommessa melodia del fagotto prende forma la Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 Patetica (1893) di Pëtr Il'ič Čajkovksij (1840-1893).

Perfettamente calato in questo repertorio, Petrenko rende al meglio la partitura con un'interpretazione di rara intensità dal primo all'ultimo accordo. L'Orchestra Sinfonica Nazionale appare magnetizzata dal continuo, inestinguibile dinamismo del maestro, travolgendo gli ascoltatori con un suono diretto, lucido, privo di sbavature, ora vicino ai confini del silenzio, ora fragoroso e terribile nel rendere tutta la disperazione di cui è impregnato l'impressionante addio alla vita di un compositore destinato a morire pochi giorni dopo la prima esecuzione dell'opera.

L'estrema chiarezza di tutte le voci, anche quelle più interne, consente di apprezzare ogni dettaglio del capolavoro, dalle inquiete puntate dei corni a turbare il tema introduttivo dell'Allegro non troppo ai ricami dei flauti nell'Allegro con grazia, dagli stacchi percussivi dell'Allegro molto vivace che frana in una turbolenta discesa verso l'abisso all'estinguersi del celeberrimo Adagio lamentoso nel fruscio di violoncelli e contrabbassi.

L'auditorium 'Toscanini', più affollato del solito anche se non riempito in tutta la sua capienza (parafrasando il detto attribuito a Šostakovič su Mosca, si può affermare per Torino che è incredibile come in una città di 800.000 abitanti non se ne trovino poco più di mille disposti a un'esperienza di ascolto negli anni a venire difficilmente ripetibile), concede un'ovazione fragorosa e di calore travolgente, quasi delirante per gli standard subalpini, al direttore che infine si congeda dopo numerose chiamate in scena. All'uscita, al guardaroba, nel foyer, nella via Rossini in cui si riversa la folla ancora elettrizzata i commenti sono di entusiasmo totale nei confronti di una bacchetta che nei prossimi decenni sarà un termine di paragone a livello mondiale. Se ne parlerà per settimane.