L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sicurezze in scena

 di Giuseppe Guggino

Prosegue la stagione d’opera del Teatro Massimo con Attila di Verdi. Buona la prova delle masse e del versante maschile del cast, mentre deludono sia l’allestimento monocorde di Daniele Abbado sia l’Odabella di Svetla Vassilieva.

Palermo, 19 febbraio 2016 - Quando in buca scende l’esuberante Daniel Oren si può avere la sicurezza di sentire un’Orchestra che suona bene, e così si verifica puntualmente anche con l’Attila in scena al Teatro Massimo di Palermo. I problemi giungono quando lo sviluppo della bruciante drammaturgia verdiana in forme musicali non sempre tornite, come capita nelle opere degli anni “di galera”, richiederebbe il buon gusto di supportare la lettura con qualche finezza di fraseggio e d’agogica, anziché adoperare pesantemente le forbici e trasformare puntualmente ogni stretta in qualcosa di vagamente offenbachiano; insomma quando si dovrebbe fare un po’ di quello che s’è sentito di recente a Bologna, teatro dal quale proviene in co-produzione questo spettacolo [leggi la recensione del primo e del secondo cast].

Dalle recite felsinee sono mutuate le tre sicurezze assolute in scena, ossia Simone Piazzola, Fabio Sartori e Antonio Di Matteo. Il primo canta Ezio con assoluta padronanza vocale e anche in maniera stilisticamente soddisfacente, eccettuato qualche piccolo eccesso di accentazione. Il secondo ha voce abbastanza grande – sebbene talvolta opaca – per rendere giustizia al ruolo di Foresto, amoroso dell’amazzone Odabella. Nella piccola parte di Papa Leone troviamo l’autentica voce di basso del giovane Antonio Di Matteo che ci si augura di risentire presto in ruoli di maggiore impegno.

E qui si fermano le sicurezze, perché i due innesti al cast di Bologna si rivelano invece meno convincenti. Erwin Schrott canta tutto sommato con precisione ma senza la cavata che si vorrebbe da una voce propriamente di basso e in debito di autorevolezza nell’affondo al grave, sicché la dimensione bellica del personaggio – pur ben presente, basti pensare alla cabaletta dopo il sogno – risulta ridimensionata in favore di una lettura giocoforza o intenzionalmente (stando alle interviste rilasciate dal cantante uruguaiano) “umanizzata”.

Ancor meno sicuro, se non talvolta fallace, è il cimento di Svetla Vassileva in un ruolo da soprano drammatico per il quale servirebbero agilità di forza, estensione, e veemenza d’accento; tutte cose poco accessibili a un soprano lirico che, ancorché in un ruolo francamente complicatissimo, riesce a risultare plausibile solamente nel cantabile all’inizio del primo atto, disseminando il resto della serata di suoni poco a fuoco non senza qualche imbarazzo nel pubblico.

Completa il cast l’Uldino di Antonello Ceron che con qualche affanno di troppo rischia di intaccare la sua onorata carriera comprimariale.

Sicurezza in scena è Daniele Abbado: si può essere certi che nulla accada di urticante, irrazionale, teatrale. Poco comprensibili appaiono i costumi di Daniela Cernigliaro (anche qui, piuttosto neutri) giacché gli italiani in scena, a differenza degli unni in tenuta d’epoca, si presentano con abiti collocabili cronologicamente (con qualche difficolta, vista la neutralità complessiva) nel ventennio fascista: una suggestione sull’italico costume di barattare il potere in accordi indegni? Forse.

Un po’ meno sicura la scena di Gianni Carluccio che, in uno dei tanti interminabili cambi a sipario chiuso trascoloranti nella mimesi dell’identità, è stata teatro alla prova generale di un piccolo infortunio occorso ad alcuni artisti del Coro che, per inciso, in queste recite fa benissimo. Nell’augurare la rapida guarigione a Maria Randazzo, Daniela Montelione e Carmen Gheggi, si auspica che i vertici della Fondazione Teatro Massimo, ai quali nell’ultimo aggiornamento al “Manuale delle procedure” del Teatro (a pag. 83, cfr. galleria fotografica) è sfuggito un rimando al D.Lgs. 626 del 1994 per la sicurezza nei luoghi di lavoro, siano realmente più attenti alla tematica, giacché il citato riferimento risulta abrogato e sostituito ormai da tempo (cfr. art. 304 del corpulento Testo Unico D.Lgs. 81 del 2008).


 

 

 
 
 

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