Marco Filippo Romano nella Cenerentola al Regio di Torino

Come un film nei giorni d'aprile

 di Emanuele Dominioni

Le suggestioni dell'epoca d'oro del cinema italiano fanno da cornice e cardine al nuovo allestimento della Cenerentola, approdato per la prima volta in Italia, firmato da Alessandro Talevi sotto l'attenta direzione di Speranza Scappucci, con un cast rossiniano che in questa seconda compagnia offre luci ed ombre, rischiarate dall'esilarante Don Magnifico di Marco Filippo Romano.

Leggi la recensione della recita con Iervolino, Siragusa, Bordogna, Lepore e Tagliavini

TORINO, 24 marzo 2016 - “Vasto teatro è il mondo, siam tutti commedianti” recitava alla prima del 1817 l'aria di Alidoro composta da Luca Agolini, che solo in tempi filologicamente moderni è stata definitivamente rimpiazzata da quella rossiniana composta per la ripresa del 1821, ben più magniloquente e ardua. E proprio da questo concetto trae ispirazione la messa in scena di Alessandro Talevi con le scene e costumi ideati da Madeleine Boyd e le luci di Matt Haskins. Traendo spunto dal carattere estremamente umano del soggetto rossiniano, che rinuncia ai connotati soprannaturali per abbracciare una visione più terrena e attuale, La Cenerentola di Talevi è una fanciulla che ottiene il riscatto sociale passando da sguattera e figlia maltrattata a diva assoluta del cinema. Il deus ex machina della vicenda è sempre Alidoro, regista di successo che cerca una partner femminile da affiancare al protagonista maschile del suo film, Ramiro. Un'idea che, nella sua geniale chiave interpretativa, apre a scenari invero interessanti, soprattutto sul piano dell'ambientazione fra veri e propri set cinematografici ricreati nella cornice della Cinecittà degli anni '50 e '60.

Solisti, coro e comparse sono parte della troupe e del cast dei film e dai costumi possiamo riconoscere i protagonisti delle pellicole di quei gloriosi anni: Antonio e Cleopatra, Ben-Hur, King Kong, Don Camillo si rincorrono sulla scena alimentando il fervore artistico tipico del dietro le quinte. La storia di Cenerentola si innesta in questo scoppiettante e fremente contesto, in cui attori, aspiranti stelle del cinema e fans attraversano la vicenda e diventano parte della storia, rivisitandola e inevitabilmente stravolgendola sul piano drammaturgico. Ecco che Dandini passa da tuttofare a protagonista pro tempore del film, le due sorellastre diventano aspiranti attricette che pendono dalle sue labbra e Don Magnifico padre pieno di ambizione e “agente” delle figlie.

In questo variegato e inusuale affresco, il rischio che la cornice distragga dal quadro è però dietro l'angolo, e, come accade per molti colossal, il focus sul personaggio e sulla narrazione passa in secondo piano se l'interprete non è all'altezza. La perfetta macchina teatrale creata da Rossini viene così surclassata in maniera iperbolica dalla regia di Talevi, che rimescolando significati e contesto, esige una caratterizzazione ancora più precisa e performante dei personaggi (i quali sono cantanti/attori che mettono in scena altri attori); cosa che non si è verificata per alcuni dei protagonisti della recita del 24 marzo.

La Cenerentola di Daniela Pini si può giovare di una figura slanciata ed elegante, con movenze non propriamente da diva consumata e charmante come richiesto dalla regia, ma comunque lontana dalla simpatica rotondità di alcune illustri interpreti del passato. Il timbro scuro e la base tecnica ben rodata le hanno permesso di affrontare la scrittura virtuosistica con agio, nonostante qualche suono aperto in zona acuta e una certa cautela nell'affrontare i più ostici passi di agilità. La caoticità di alcune scene come il finale primo e il sestetto del secondo atto la vedono però come figura piuttosto defilata nella macchina teatrale ideata dal regista, per cui un maggiore divismo l'avrebbe probabilmente aiutata a emergere anche vocalmente.

Giorgio Misseri è un Don Ramiro ancora acerbo sebbene abbastanza credibile nel ruolo di giovane innamorato. Meno in quello di divo del cinema alla ricerca della giusta compagna, in cui un certo impaccio e preoccupazione sulla scena erano evidenti, soprattutto durante l'aria e in generale nell'affrontare la tessitura acuta. La voce è sonora e ben proiettata, nonostante il timbro poco accattivante e il fraseggio parzialmente da rivedere.

Davide Bartolucci, invece, offre una prova abbastanza incolore come Dandini. In difficoltà nel gestire l'intricatissima parte, non è agevolato in questo senso da una qualità timbrica non eccelsa. L'aria di sortita in particolare fatica a ingranare e non lascia il segno. Riesce comunque a dare vigore e luce al personaggio grazie a un fraseggio brillante e a una presenza scenica a tratti scoppiettante.

Vero trionfatore della serata è il Don Magnifico di Marco Filippo Romano, un vero attore/cantante che regala un'interpretazione esilarante ed estrosa: da vero basso buffo. Le difficili arie scorrono con grande maestria e precisione e la temperatura teatrale nel complesso rimane alta grazie alla sua presenza sulla scena.

Imponente sia per vocalità sia per statura è Simon Lim come Alidoro. Affascinante quanto basta nel ricoprire il ruolo di regista e artefice della vicenda, ne abbiamo apprezzato l'autentica emissione da basso nobile, unita a una dizione ben curata nonostante non sia madrelingua. “La del ciel nell'arcano profondo” è uno scoglio tecnico che soprattutto verso la fine ci fa avvertire una certa stanchezza, ma nel complesso la prova è ampiamente superata.

Esilaranti e ben a fuoco sono infine le due sorellastre interpretate da Giuliana Gianfaldoni e Loriana Castellano.

Speranza Scappucci dirige con sicura mano i complessi del Teatro Regio, con grande attenzione alle esigenze del canto e agli incastri nei difficili pezzi d'insieme. Una maggiore cura verso dinamiche più contenute avrebbe scongiurato i molti momenti in cui le voci risultavano coperte dall'orchestra, scomparendo nel turbinio dei crescendo rossiniani, in cui anche il coro diretto da Claudio Fenoglio risuona con grande qualità d'impasto.