Madama Butterfly alla Fenice di Venezia

Sete sonore e tragedia impassibile

 di Francesco Lora

Una nuova ripresa di Madama Butterfly al Teatro La Fenice riconferma l’efficacia dello spettacolo con regìa di Rigola e incontra lo strapotere della bacchetta di Chung. Onestà professionale della compagnia di canto.

VENEZIA, 26 marzo 2016 – Un design pulitissimo che, in scena candida e sgombra, al centro una scultura astratta, lascia solo immaginare gli spazi; e il dinamismo di qualche danzatrice che, con leggerezza di farfalla, in questo contesto pare già di troppo. Nell’allestimento con regìa di Àlex Rigola, scene e costumi di Mariko Mori e luci di Albert Faura, la Madama Butterfly di Puccini è di casa al Teatro La Fenice dal 2013; viene meno il senso di novità, ma non l’efficacia di uno spettacolo dove sembra non mancare alcunché, pur nell’imperativo del togliere. Cinque nuove recite, dal 18 al 26 marzo, hanno riconfermato in buona parte le voci già radunate lo scorso anno, e hanno aggiunto alla locandina la concertazione prestigiosa di Myung-Whun Chung.

Sempre eccellente il suo dialogo con Orchestra e Coro del teatro: si ascolti lo srotolamento di sete sonore, lucide e cangianti, lungo il corso di un atto I di rado conosciuto così esotico; e si ascolti come nell’atto II il discorso sinfonico si faccia viepiù scarno, affilato, lancinante, fino all’asciuttezza impassibile nella quale la tragedia si compie. Spiace solo la ratifica di un errore registico: far cantare il ‘coro a bocca chiusa’ con gli artisti disposti in sala; in tal modo, il canto non proviene più come tinta lontana e misteriosa nell’attesa, ma si deforma in un mugugno vicino, dove ciascun cantore denuncia l’imbarazzo di non essere dietro le quinte, a ben amalgamare timbro e intonazione col vicino di fila.

Decorosa ma senza assi nella manica la compagnia di canto.

Impegnata benché rigida e avida di sfumature, in una parte che ne pretenderebbe senza fine, tra maniere da geisha e tremenda presa di coscienza, Vittoria Yeo come Cio-Cio-San.Vincenzo Costanzo ripropone invece il suo bel materiale, retto più da natura e fibra che da briglia tecnica, ed è scusato della sua superficialità solo perché così pare restituire quella di B.F. Pinkerton.

Burbero e schietto lo Sharpless di Luca Grassi, affettuosa e viscerale la Suzuki di Manuela Custer (che non rinuncia al compiaciuto affondo baritonaleggiante en poitrine ma si dimostra più efficiente in Puccini che nel belcanto settecentesco).

Funzionali i caratteristi: Julie Mellor come Kate Pinkerton, Luca Casalin come Goro, William Corrò come Yamadori, Cristian Saitta come Zio bonzo.

Evidente lo scarto musicale tra lo strapotere della bacchetta e l’onestà professionale del resto, anche nella scala degli applausi finali.