L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Der Rosenkavalier alla Scala, Sophie Koch e Christiane Karg

Luci e ombre viennesi

 di Pietro Gandetto

 

Ottima ripresa del Rosenkavalier salisburghese del 2014 al Teatro alla Scala. L’elegante regia di Kupfer e le concettuali scene di Schavernoch si sposano con la ieratica bacchetta di Zubin Mehta. Efficace il cast vocale in cui spicca la Feldmarschallin di Krassimira Stoyanova

leggi la recensione dello stesso allestimento a Salisburgo nel 2014

Milano, 4 giugno 2016 –  Der Rosenkavalier è al contempo opera della giovinezza e dell’età adulta, del tramonto e della rinascita, dell’ironia e della serietà. Una commedia umana in cui il clima crepuscolare e di nostalgica malinconia della finis Austriae, personificato nella sofisticata Feldmarschallin, si contrappone alla freschezza del nuovo secolo, rappresentato della giovane e tenace Sophie. La sanguigna verve di Ochs auf Lerchenau trova negli slanci emotivi dell’esuberante Octavian un diafframma di difficile superamento. E così via in un gioco di contrasti e apparenti contraddizioni.

Nella sintesi di questi poli risiede la chiave interpretativa del capolavoro straussiano, che, al di là dei paragoni più o meno calzanti con i precedenti mozartiani, non è né commedia, né dramma, ma una disincantata riflessione sul senso della vita e sul trascorrere del tempo. Come in una sorta di circolarità hegeliana, ogni emozione e ogni gesto dei personaggi nasce, si sviluppa e muore nella parabola dell’opera, per ricominciare da capo, con vivida forza espressiva.

Questo vortice emozionale trova nella raffinata regia di Harry Kupfer e nelle eleganti scenografie di Hans Schavernoch una chiave espressiva ideale. Il regista tedesco sposta la vicenda dall’epoca teresiana voluta da Strauss-Hofmannsthal a un altrove indefinito, dando vita a una sorta di magico liquido amniotico in cui la vicenda “galleggia” con delicata leggerezza sotto il profilo sia scenico sia musicale. Immerso in quest'ambiguità, il pubblico entra in contatto sin dalle prime battute con le problematiche psicologiche dei personaggi, alle prese con il loro inesorabile destino, nei confronti del quale, citando la stessa Feldmarschallin, “è inutile sdegnarsi perché sempre così va il mondo”.

Le ampie scenografie di Hans Schavernoch, e le videoproiezioni di Thomas Reimer, si apprezzano per una forte compattezza visiva dovuta all’uso predominante del bianco e del nero, e consentono, per l’effetto, una piena immedesimazione nell’atmosfera crepuscolare dell’opera. In una Vienna tersa e luminosa, ma anche evanescente e indefinita, i palazzi imperiali della belle époque sono ripresi dal basso all’alto per esprimere il senso di impotenza dei personaggi nei confronti della vita. Nel terzo atto si passa poi a un eccessivamente sgargiante e troppo decontestualizzato Prater, dove si consumano le burle ai danni di Ochs, per arrivare sul finale alle nebbie della campagna austriaca, dove i dubbi esistenziali della Feldmarschallin si perdono nella contemplazione dell’indefinito paesaggio rurale, che ben accompagna anche il coronamento dell’amore dei due giovani. Ottime le luci di Jurgen Hoffmann e i delicati costumi di Yan Tax.

Protagonista della serata la concertazione di Zubin Mehta. Il contributo orchestrale diventa una sorta di impalcatura architettonica in cemento armato su cui poggia la complessa struttura orchestrale di Strauss, sia nei momenti di maggior impeto, sia nei passaggi più elegiaci dell’opera. La sottile ironia che caratterizza Der Rosenkavalier è ben espressa dall’esperienza concertativa di Mehta che si distingue per un uso ponderato di colori, dinamiche, e tempi e per una scorrevolezza e fluidità espressiva di pregio, con l’unico neo di una certa "anarchia" della compagine orchestrale all’inizio del secondo atto. Ben espressa l’epifania d’incanto che caratterizza il duetto del secondo atto di Octavian e Sophie, interrotto da un improvviso accordo di settima di dominante in re bemolle maggiore, con cui irrompe sulla scena l’enfatico Barone. Momenti felici anche nel terzo atto con la tarantella di Annina e Valzacchi che cede il passo a uno dei tanti valzer viennesi presenti nell’opera, per giungere infine al tenero e incantevole duetto d’amore del finale, affidato alla calda voce dell’oboe e alle celestiali arpe.

Circonda la valida concertazione di Mehta il buon contributo del cast vocale. Palma d’oro della serata alla  Feldmarschallin di Krassimira Stoyanova. Il soprano bulgaro, che nella fisicità ricorda a tratti la collega Elena Moşuc, dà sfoggio di una sicurezza tecnica ed espressiva di pregio. Maestra del porgere, si caratterizza per un canto radioso, sano e per un’oculata gestione dello strumento, che le consente di sfoggiare dall’inizio alla fine della recita preziosi filati e un’omogeneità timbrica notevole. La postura e il fare aristocratico conferiscono ulteriore credibilità al ruolo.

Raffinatezza e gusto musicale anche per la Sophie di Christiane Karg, che dà vita a un personaggio energico e caparbio, ma mai caricaturale. Sotto il profilo vocale, ben reso il carattere giovanile e candido di Sophie, anche grazie a una tessitura acuta di esiguo volume, ma bene presente e luminosa.

Bene, ma non benissimo, l’Octavian di Sophie Koch, veterana del ruolo. La performance vocale parte in grande forma, con centri e acuti presenti, voce rotonda e buon fraseggio. L’impasto delle voci nei duetti del primo atto con la Marescialla è perfetto. Nel corso della recita, però, la voce si appescantisce e la scorrevolezza del primo atto si tramuta in una certa fissità soprattutto nella tessitura acuta, a scapito anche della qualità timbrica. Di contro, sotto profilo attoriale i mezzi espressivi restano intatti e consentono alla Koch di creare un Octavian perfettamente aderente all’idea registica sottesa allo spettacolo, e cioè quella di un kavalier misterioso e ambiguo (e, quindi, affascinante), impetuoso e raffinato, languido e caparbio.

Venendo alle voci maschili, Günther Groissböck è valido interprete del barone Ochs, in grado di esprimersi nel dialetto viennese di tradizione e anagraficamente coerente rispetto ai desiderata del libretto di Hofmansstahl (in cui risulta che Ochs abbia circa l’età della Marschallin). La voce è fluida, morbida e agile nel registro acuto. Peccato che nel corso della serata il volume e la qualità timbrica si affievoliscano considerevolmente. Sotto il profilo attoriale Groissböck conferma appieno le aspettative, dando vita a un personaggio boccaccesco, virile e molto divertente.

Il cantante italiano di Benjamin Bernheim entra in scena avvolto in un preziosissimo damascato e canta la sua aria con bel timbro da tenore lirico. A eccezione di qualche nota un po’ chiusa negli acuti, l'interpretazione di questa breve, ma esigente, parte è più che soddisfacente. Segnaliamo poi il buon contributo di Adrian Eröd in Faninal.

Nel comprimariato, divertenti Kresimir Spicer in Valzacchi, e Janina Baechle in Annina. Della Marianne di Silvana Dussman non può sottacersi un’evidente asprezza del registro acuto. Completavano il cast, Ein Polizeikommissar di Thomas E. Bauer, Ein Notar di Dennis Wilgenhof, Ein Wirt di Roman Sadnik, Der Haushofmeister bei der Faninal di Michele Mauro.

Standing ovation con circa quindici minuti di applausi a fine spettacolo.

foto Brescia Amisano


 

 

 
 
 

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