così fan tutte all'accademia di santa cecilia

Ars Amandi

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sceglie Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart per la consueta opera di fine stagione. A dirigere gli eccellenti complessi accademici è il russo Semyon Bychkov. Il cast è buono, eccellente nella compagine maschile: Fanale, Werba e Spagnoli interpretano un trio perfetto, armonioso e dinamico. Peccato che la prima sia stata poco frequentata (mi auguro che il 27 maggior pubblico accorra), giacché l’opera è – come tutti sappiamo – straordinariamente straordinaria e questa versione a concerto merita di essere goduta.

ROMA, 23 giugno 2016 – L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ci regala la consueta opera di fine stagione. Questa volta tocca a un gioiello di audacemente piccante, un evergreen (fece storcere più di un celebre naso, come quelli di Wagner e Beethoven): Così fan tutte ossia La scuola degli amanti, uno dei capolavori della trilogia firmata Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart. Delle tre, certo, la più vera, la più autentica: l’opera che disvela come la natura umana sia «un insospettabile codice genetico del tutto soggiogato dalla volubilità dei sensi e non comandato da un sistema di idee» (G. Carli Ballola, dal programma di sala). Opera che ebbe un immediato successo alla sua première nel gennaio 1790; successo subito spento da contingenze che col mero valore artistico dell’opera in sé poco c’entravano: un capolavoro assoluto del genere comico di tutti i tempi fortunatamente riconosciuto fin dal suo battesimo (sorte nient’affatto scontata). In poche partiture come in questa si riesce a ascoltare ogni sentimento umano: l’amore, la gelosia, la vendetta, la superbia, la vanità. Se si chiudono gli occhi si percepisce l’alito della vita stessa, colta in ogni sua forma, soprattutto quelle più corporee, carnali, appunto inspiegabili. Un’opera buffa sui generis eppur così ben inserita nei diversi filoni comici tradizionali. Mercé soprattutto il magistrale libretto di Da Ponte, volpone del teatro, che mescola, in sapienti dosi, elementi plautini (i servi astuti) a elementi della commedia romantica shakespeariana, con qualche spruzzata del più salace Boccaccio e del meno eroico Ariosto. Con una musica, poi, come quella di Mozart il tempo scorre e neanche ce ne rendiamo conto!

A dirigere i complessi dell’Accademia è il russo Semyon Bychkov, direttore che ha come orto prediletto il tardoromanticismo. La mano non è perfettamente sicura nel fluido andare della partitura: il suono esce sì perfettamente brillante, ma lo si deve soprattutto al lavoro superlativo degli Accademici – come abbiamo potuto godere nell’ouverture e nel breve ma prezioso preludio evocante le brezze marine in apertura di scena II (I atto), per fare due esempi. A una mano non leggerissima Bychkov associa – c’è da dire – una certa qual troppa rilassatezza nella direzione, che avrebbe potuto rendere più brillante, autenticamente frizzante, rossiniana ecco. Lascia fortunatamente scorrere le voci; qualche lieve problemino qua e là negli assiemi non pregiudica in ogni caso un’ottima esecuzione della partitura. Si rimane stupiti ogni volta per la bellezza di questa musica: «la pienezza sferica della melodia mozartiana, quale si manifesta in Così fan tutte, è ancora una bellezza florida e incantata […] espressione, pathos, emozione sussistono certo in Così fan tutte, ma al quadrato e come provvisorio travestimento, del tutto consono a quelli scenici dei due ufficiali e di Despina» (Carli Ballola).

Corinne Winters canta una buona Fiordiligi, convincente vocalmente anche se termina l’opera un po’ stanca: la sua tecnica di canto la porta sempre a spingere, spesso oltre le sue possibilità, alle volte calcando oltre misura su bassi troppo sforzati, di fatto quasi svuotati, e su acuti alquanto duri. Complessivamente però si comporta bene nei duetti – come quelli con Dorabella: «Ah, guarda, sorella», dove ci mostra un ottimo filato nella stretta, e il deliziosamente piccante «Prenderò quel brunettino»; nelle arie riesce bene, soprattutto in «Come scoglio immoto resta», dove Bychkov rallenta opportunamente per darle modo di eseguire con agio le difficili fioriture e agilità (è qui che qualche acuto non esce, purtroppo, perfettamente). La Dorabella di Angela Brower è molto spiritosa, ma poco pesante vocalmente: la Brower è un mezzo un po’ delicato, poco di spessore, soprattutto quando canti vicino alla Winters, che non fa che spingere. Lo si vede bene nell’esecuzione della paratragica «Smanie implacabili» (dove Mozart gioca allusivamente con autocitazioni dalla sua Elettra dell’Idomeneo); molto meglio la deliziosa «È amore un ladroncello», dove la naturale morbidezza della voce scorre bene in un fraseggio certo inficiato da una pronuncia non perfetta, ma egualmente gradevole. Ottimo il Guglielmo di Markus Werba, mozartiano nell’animo, animale da palcoscenico. Quel suo nobile timbro è pienamente baritonale, vibrante, colorato, malleabile; Werba fa quel che vuole col la scrittura di Guglielmo: «Non siate ritrosi» riesce assai bene, così come «Donne mie, la fate a tanti». Fraseggia con agio e disegna bene duetti, terzetti e insiemi. Il miglior cantante della serata è stato però, senza dubbio, Paolo Fanale, che canta un perfetto Ferrando: basti citare l’autentica ovazione seguente la sua delicatissima aria «Un’aura amorosa», dove Fanale coglie tutte le rose del canto, tutte le sfumature, facendo vibrare di caleidoscopici colori il canto – per non parlare della ripresa dell’aria, tutta a fil di voce, ma perfettamente udibile, giocando con una sottile trama di armonici. I miglioramenti di Fanale sono palpabili di recita in recita, mercé un canto italianissimo, sicuro, saldo, tutto in maschera, curante una perfetta dizione, pavarottiano in una parola. Si armonizza perfettamente a Werba nei duetti o recitativi Ferrando/Guglielmo (per esempio «Secondate, aurette amiche») e canta con agio in gruppo. La Despina di Sabina Puértolas ha voce assai (forse troppo) sottile, ma aggraziata e intonata: peccato senta poco il personaggio in tutte le sue spiritosaggini, in tutto il suo plautino brio. Ce ne rendiamo conto fin dal recitativo di presentazione («Che vita maledetta»), benché prosegua cantando bene sia «In uomini, in soldati» (s’ascolti – schiacciante è il confronto – una Despina col pedigree, Ileana Cotrubas, con qual brio, celiante divertimento esegue quell’aria). Un po’ imbalsamata la Puértolas risulta soprattutto nelle scene di travestimento; ancora spigliata ma non naturale in «Una donna a quindici anni». Perfettamente nella parte, provvisto del consono physique du rôle non solo vocale, è Pietro Spagnoli, baritono specializzato in ruoli buffi, un eccellente Don Alfonso, meno pesante e pomposo di talune altre interpretazioni, ma più scaltro e fresco. Fraseggia divinamente fin dal metastasiano «È la fede delle femmine»; gli interventi sono sempre azzeccati e dosati; molto bello il sentenzioso «Tutti accusan le donne, ed io le scuso». I cantanti tutti ben interagiscono fra loro. Il terzetto iniziale «La mia Dorabella», una geniale apertura in medias res, dimostra l’ottimo affiatamento della compagine maschile; meno – ed è un gran peccato! – il magnifico terzetto «Soave sia il vento», eseguito forse in maniera troppo calcata, poco amalgamata, poco soffusa. Deliziosi e ben calibrati (anche con ottima mimica da parte degli interpreti) sono i vari ensemble vocali: soprattutto i due finali sono ben concertati.

L’ennesima ottima serata di musica all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ricco, del resto, è anche il calendario estivo, un po’ per tutti i palati.