il barbiere di siviglia di paisiello

Un barbiere di rarità

 di Antonio Caroccia

Il Reatefestival propone, nel bicentenario dalla morte, Il barbiere di Siviglia di Paisiello nell'edizione critica di Francesco Paolo Russo, con la direzione di Fabio Biondi, la regia di Cesare Scarton e un cast di giovani voci.

RIETI, 25 settembre 2016 - Parli del Barbiere di Siviglia e tutti pensano a Rossini. Eppure quanti ricordano che prima di Rossini un altro musicista fu ispirato da La précaution inutile, ou Le barbier de Seville di Beaumarchais? Chi sarà mai costui? È ovvio che stiamo parlando di Giovanni Paisiello, di cui quest’anno ricorre e celebriamo il bicentenario della morte (1816-2016). Un artista che respirò un’epoca, felice ma ormai lontana, durante la quale la musica italiana dominava in Europa; nel corso di quegli anni le opere di autori italiani primeggiavano su tutti i palcoscenici più prestigiosi, da San Pietroburgo a Parigi, da Vienna a Londra, senza parlare naturalmente di Milano, Venezia, Roma e Napoli. Quest’ultima, città adottiva del tarantino, diede i natali a molti compositori illustri, ma seppe pure fornire comuni orientamenti stilistici a tanti altri musicisti che si recavano a studiare nei suoi conservatori. L’opera napoletana, però, dopo quei trionfali successi pare oggi essere caduta in uno stato di oblio, nonostante le sparute riprese degli ultimi anni.

È dunque con particolare fervore che segnaliamo la produzione del Barbiere di Siviglia paisielliano del Reatefestival dedicato alle popolazioni colpite dal recente sisma del 24 agosto.

L’opera comparve per la prima volta sulle scene il 15 settembre del 1782 al Teatro imperiale dell’Ermitage di San Pietroburgo, alla presenza della zarina Caterina che, per quanto di proverbiale insensibilità musicale, definì Paisiello un grande artista. Il Barbiere di Paisiello nato sui trionfi della citata opera in prosa di Beaumarchais (1775) fu una commedia destinata ad annunciare il nuovo corso storico. Anche sul versante musicale, divenne un simbolo: quello del genere buffo della sua epoca. E sembra quasi un destino che l’opera di Rossini, destinata a spodestare quella di Paisiello, sia del 1816, anno della morte del compositore tarantino, quasi a riprenderne una eredità simbolica.

Il Barbiere di Paisiello, partitura splendida, è un dramma giocoso in quattro atti che parla di Spagna e si esprime con linguaggio mozartiano tinto di accento napoletano, restituitoci dalla preziosa edizione critica di Francesco Paolo Russo; fine musicologo da anni impegnato in questo campo di ricerca.

Scoppiettante e finissima è stata la ricercatezza musicale del direttore Fabio Biondi. Conosciamo Biondi come ricercatore e sperimentatore nel campo della musica barocca e della prassi esecutiva. Non possiamo nascondere qualche perplessità iniziale nella scelta della direzione. Dubbi, invece, ampiamente fugati dalle capacità di questo artista di trovarsi a suo agio, anche, con un repertorio che certo non appartiene proprio al Barocco; anche se qualche licenza in tal senso non è mancata. La sua direzione è stata sicura, misurata, controllata e soprattutto chiara; tra l’altro egli avrà sudato non poco a guidare l’orchestra mentre suonava il violino, alla maniera antica… una vera impresa. Anche l’orchestra del Reate Festival composta da giovani dell’Alta Formazione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dalla Youth Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma e da alcuni elementi della formazione Europa Galante, di cui Biondi è direttore artistico, ci è parsa perfetta e intonata.

Molto bene gli interpreti principali. Roberto Jachini Virgili (Il conte d’Almaviva), Clemente Antonio Daliotti (Bartolo), Maharram Huseynov (Figaro), Simone Alberti (Don Basilio). Brava la giovanissima Costanza Fontana (Rosina), seppure la sua chiara voce non sempre era udibile.

Nella partitura paiselliana sono evidenti gli spessori psicologici dei personaggi, con una serie di arie di grande bellezza, contraddistinte da un sapiente trattamento strumentale e l’utilizzo degli strumenti a fiato (si pensi al clarinetto) capaci di disegnare le fini sfumature melodiche. Per non parlare poi dei bellissimi concertati ben resi dalla compagine vocale. Mettere però in scena un’opera simile e del Settecento non è assolutamente cosa facile. Bisogna far risaltare prima di tutto le vicende comiche e grottesche, le sfumature patetiche, i repentini cambi di umore dall’allegro al serio che sono, poi, i punti di forza di un dramma giocoso. Ma con un regista come Cesare Scarton possiamo star tranquilli. Un artista che conosce a memoria questo repertorio e che dimostra ancora una volta di ammaliarci con le sue trovate: movimenti scenici ordinati, fantasiosi e soprattutto rispettosi del testo. Di grande effetto anche le scene di Michele Della Cioppa con un circolo di caselle del gioco dell’oca che è stato sfruttato a seconda delle esigenze drammaturgiche e che ci è sembrato per nulla invasivo e del tutto adeguato all’opera paiselliana. Di sicuro effetto,, parimenti, i costumi di Anna Biagiotti e le luci di Corrado Rea, per quel che possiamo definire un Barbiere di qualità e di rarità…

foto: Alex Giagnoli, Massimo Renzi