puccini, la bohème

Oren, il bohèmien

 di Rossella Rossi

Nella ripresa della Bohème all'Opera di Firenze s'impone la concertazione di Daniel Oren, capace di valorizzare amorevolmente il tessuto orchestrale pucciniano e di sbalzare a dovere l'ironia goliardica e leggera come il dolore e il sentimento.

FIRENZE, 17 novembre 2016 - Chi non ha mai ascoltato La bohème? L’opera pucciniana - tra le più conosciute del repertorio - terzo titolo nella Stagione del Teatro dell’Opera di Firenze ha registrato il tutto esaurito alla “prima” di giovedì 17 novembre così come sold out sono anche le successive sei repliche in programma fino al 27 novembre. Fascino intramontabile di un classico che, tuttavia, val la pena di ascoltare almeno una volta nella vita diretto dal maestro Daniel Oren, co me in questa produzione.

Daniel Oren, vocazione di cantante oltre che di concertatore, ha l'opera nel cuore e negli anni ha approfondito questo repertorio come pochi altri. I tratti distintivi della sua interpretazione fiorentina sono da ricercare nel rilievo dato al preziosismo timbrico , nel cesello cameristico ricercato nelle singole parti strumentali, nel riuscire a far emergere ogni voce dell’orchestra. Orchestra che assume in questa lettura un ruolo da protagonista, restituendo a Puccini quelle doti di sinfonista che magari in edizioni meno accurate vengono messe in ombra dalle struggenti arie affidate ai protagonisti sulla scena. Una grande prova anche da parte dei professori dell’Orchestra del Maggio Musicale, che hanno assecondato con stile e bravura le raffinata visione del direttore israeliano esibendo un suono terso e compatto degno delle migliori interpretazioni della compagine fiorentina.

Sintonia anche col palcoscenico ( nonostante nel primo quadro l’orchestra sovrastasse un po' troppo il canto) - nella collaudata regia di Lorenzo Mariani (debittò nel 1999 al Comunale di Bologna) che, pur restando nella tradizione, cioè ambientando la vicenda a cavallo tra fine ‘800 e inizio’900 , fa piazza pulita dei cliché sentimentali e reinventa una Parigi fin de siècle di studenti e sartine in un’atmosfera ludica e finanche goliardica che asseconda le venature vivaci e ironiche messe in luce nella direzione di Oren. Certo, non viene meno l'aspetto sentimentale e doloroso; e si piange anche, come nel commovente duetto alla Barriere d’Enfer dove i due innamorati dilazionano l’addio “alla stagion dei fior”.

Di livello tutto il cast vocale, dallo spigliato Rodolfo di Fabio Sartori alla Mimì timida e malinconica di Jessica Nuccio mentre la coppia Marcello-Musetta, affidata alle voci di Simone Piazzola e Alessandra Marianelli, interpreta con disinvoltura e naturalezza il lato più carnale dell’opera. Trascolorando con padronanza vocale tra l’ironico e il sentimentale, sia lo Schaunard di Fabio Previati che il Colline di Gianluca Buratto rendono incisivi i loro ruoli e quest’ultimo, con un bel timbro dal colore brunito, crea un rimarchevole cammeo nell’aria della zimarra. Tutti gli insiemi bohemiènne interpretati dai quattro studenti sono di grande efficacia. 

Fra i ruoli di fianco si ricordano almeno Salvatore Salvaggio Benoît / Alcindoro, Carlo Messeri Parpignol, Vito Luciano Roberti Sergente dei Doganieri, Antonio Corbisiero Doganiere e Leonardo Sgroi Venditore ambulante.

Bellissimi i costumi (di William Orlandi) e le luci (Christian Pinaud) che hanno completato lo spettacolo insieme alla prova superlativa del Coro del Maggio Musicale, con l’applaudito maestro del Coro, Lorenzo Fratini, e del Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino.

foto  © Pietro Paolini - TerraProject - Contrasto