I martiri, gli eroi

di Roberta Pedrotti

Programma magnifico, che accostava la Ballade of Heroes di Britten e la Tredicesima Sinfonia di Šostakovič, per l'inaugurazione della stagione sinfonica del Comunale di Bologna, ma serata accidentata per la sostituzione repentina di direttore e basso solista. Ciò nonostante, la qualità e la profondità dei due capolavori proposti ha garantito una grande serata, favorita anche dalla fortunata disponibilità di Alexander Vinogradov a subentrare come interprete del lavoro di Šostakovič.

BOLOGNA, 30 gennaio 2014 - Ballade of Heroes di Britten (1939) e la Tredicesima Sinfonia Babi Yar di Šostakovič (1962). Un accostamento inusuale e prezioso, che non solo offre l'occasione di ascoltare due capolavori d'arte engagée in cui l'altissima scienza e l'acume straordinario dei due compositori si confronta con testi di grande forza e profondità politica, nate dall'attualità di fatti contingenti ben definiti (la guerra di Spagna, la strage nazista di Babi Yar commemorata in pieno disgelo sotto Kruscev) e capaci di esprimere valori universali. Due capolavori valorizzati dalla vicinanza, sia per l'organico (l'uno per voce acuta di tenore o di soprano, coro misto e orchestra; l'altro per basso, coro di voci gravi e orchestra), sia per la struttura, scandita rispettivamente in quattro e cinque parti in cui il solista dialoga con il coro.

Soprattutto, però, l'accostamento vale per il peso politico del poema di Auden musicato da Britten, che celebra i valori della resistenza alle dittaure fasciste, ma pure riflette le contraddizioni e le violenze d'ogni guerra, anche dell'unica giusta, quella per la libertà e la giustizia. Vale per la profondità dei testi di Evgenij Evtusenko scelti da Šostakovič, che dall'orrore della strage nazista dilaga affrontando ogni forma di antisemitismo, d'intolleranza e divisione; il solista, in quanto uomo e non in quanto ebreo, si identifica con le vittime di Babi Yar (la fossa presso Kiev dove gli occupanti tedeschi massacrarono oltre trentamila ebrei, ma anche zingari, civili ucraini e dissidenti politici), con Dreyfuss e Anna Frank, con ogni essere umano vittima del fanatismo razzista. E da qui, di movimento in movimento, a celebrare la satira irridente che resiste all'oppressione del potere, le donne e il loro lavoro nella dignità del popolo vessato, il timore della repressione che spira con toni simili a quelli che delle le Sette romanze su poesie di Aleksandr Blok op. 127 (di cinque anni successive alla Sinfonia), con un chiaro rimando autobiografico al controverso rapporto con il regime, fra sincera adesione ai nobili principi del socialismo e insofferenza al giogo della dittatura stalinista, sentimenti ancora vivi, e ferite ancora aperte, anche se la morte di Stalin nel '53 e il nuovo corso inagurato da Kruscev aveva dato maggior respiro alla loro espressione. Così il finale celebra la certezza dell'artista nell'appagamento della coerenza e dell'onestà intellettuale anche a costo di delusioni e repressioni: la miglior carriera è quella rischiosa, che non cerca di compiacere il sistema, altrimenti nessuna rivoluzione, nelle arti nella scienza e nella politica, avrebbe mai potuto essere possibile e nessun pensiero si sarebbe mai distinto come degno di essere ricordato.

Concerto atteso, dunque, quanto però sfortunato quello che ha inaugurato la stagione sinfonica del Teatro Comunale di Bologna. A pochi giorni dalla prima, infatti, James Conlon si è visto costretto a rinunciare al podio per gravi problemi personali, mentre il giorno stesso dello spettacolo il basso Arutjun Kotchinian è stato colpito da indisposizione e da un calo di voce repentino che gli ha impedito di esibirsi. A Conlon è subentrato il giovane kazako Aziz Shokhakimov, che ha gestito la serata con maggiore sicurezza rispetto alla prova incerta offerta in autunno con la medesima orchestra nella Quinta di Mahler. Certo, sarebbe impensabile e ingeneroso avanzare particolari rilievi e pretese in una sostituzione dell'ultimo minuto per un programma sofisticato e impegnativo come quello proposto dal Comunale. Shokhakimov è parso in generale prediligere l'impeto sonoro al cesello, ma in quest'occasione non possiamo non apprezzare la sua prontezza e il sangue freddo nel rilevare il podio affrontando due partiture come queste e conducendo felicemente al termine la serata. Applausi dunque meritati e giudizio critico pieno ancora sospeso. Senza rimpianti, anzi, con piena soddisfazione abbiamo accolto, invece, la prova di Alexander Vinogradov, giunto da Berlino a poche ore dal concerto per salvare la situazione. Davvero una soluzione fortunata, perchè il basso russo vanta una conoscenza profonda della Tredicesima di Shostakovitch, ne ha interiorizzato ogni dettaglio, la vive in ogni parola e nella gestualità abile e misurata che ben si confà a un testo così variegato e intenso e all'esibizione oratoriale, per la quale si esige ben altro riserbo attoriale che non sul palcoscenico. Concentrato, intenso, ispirato e tragico, ironico e istrionico, Vinogradov ha dimostrato una piena maturità artistica e un equilibrio vocale e tecnico che lo rendono assolutamente ideale per questo repertorio. Protagonista della Ballade di Britten è invece la voce brillante del tenore, del tenore intellettuale e sottile alla maniera di Peter Pears, del tenore araldo dell'arte e dell'umanità. Declamazione scolpita, sensibilità e melismi belcantisti: la tipica sensibilità espressiva del canto britteniano è dipanata da Boyd Owen con esiti assai più convincenti di quelli raggiunti qualche mese fa, al Comunale, come Peter Quint. Il tenore si fa apprezzare per musicalità senza cedimenti, chiarezza e incisività di dizione, efficacia vocale solo accidentalmente messa alla prova dall'intensità dell'organico e dal piglio energico di Shokhakimov, che predilige sempre sonorità più piene. Anche il coro femminile appare, qui, un po' più teso, anche se la prova dei complessi bolognesi, orchestra e coro, resta assolutamente lodevole, con una nota di merito per la morbida pastosità e la partecipazione delle voci gravi nella sinfonia di Šostakovič, anche a dispetto di un numero non certo imponente (solo ventidue elementi per questo brano). Alla fine applausi entusiastici ai quali non possiamo non associarci, lieti d'aver potuto ascoltare, a pochi giorni dalla commemorazione delle vittime dell'Olocausto, due grandi pagine di musica intesa come impegno morale e politico nel suo senso più alto e universale.