di Roberta Pedrotti
Magnifico programma dedicato ai rapporti sinestetici fra musica, pittura, poesia e teatro, con scelte e accostamenti intelligenti e non scontati per la stagione sinfonica del Comunale di Bologna. A guidare gli impegnatissimi complessi felsinei, Alejo Perez, responsabile di una lettura vigorosa più che analitica.
BOLOGNA, 9 febbraio 2014 - Non c'è che dire, i programmi dei concerti della stagione sinfonica del Comunale di Bologna, anche quando non recano particolari sorprese, sono sempre ben costruiti, intelligenti e stimolanti, quale che sia l'esito artistico finale.
Non ha fatto eccezione il concerto del 9 febbraio, che ha permesso di ascoltare dal vivo, in apertura, Peinture, composto nel 1970 da Edison Vasil'evič Denisov (1929-1996) e ispirato all'opera del pittore Boris Birger (1923-2001). Per quanto sia definito del programma di sala fra i brani più eseguiti del russo, esponente con la Gubajdulina e Šnittke della generazione successiva a Šostakovič, inevitabilmente legata al Maestro e progressivamente emancipata, non si può dire ricorra abitualmente nei cartelloni dei nostri teatri, ed è parso assai interessante accostare questa scrittura – fatta di contrasti e gradazioni di tessiture, timbri e spessori, riflesso delle sfumature cromatiche e luminose di Birger – al tardo romanticismo di Rachmaninov illustratore sonoro della celeberrima Isola dei morti di Böklin. Non si tratta certo di un capolavoro, ma di una pagina di moda simbolista e wagneriana, che anticipa i modi della musica da film imbastendo una sorta di colonna sonora del dipinto, tuttavia trova la sua ragion d'essere inserito in un programma dedicato ai rapporti fra la musica e le altre arti e soprattutto mostra, con il pezzo di Denisov, due diverse strade per coniugare suono e pittura, o una precisa illustrazione (l'atmosfera sospesa, le onde, il beccheggio della navicella e il ritmo del remo) o, viceversa, l'eco di una struttura e di una suggestione rielaborata in senso più propriamente sinestetico.
Seguono due suggestioni poetiche, con e senza parole.
Prima il maestoso, terribile e solenne coro delle Parche dall'Iphigenie auf Tauris di Goethe musicato da Brahms, perfetta rappresentazione del sublime nella sua terribile, inafferrabile grandiosità. Un esempio della compenetrazione perfetta fra testo e musica della tradizione liederistica amplificato in uno splendore quasi operistico dal coro misto (ché il Fato non ha sesso, è potenza universale, voce della Natura che ci fa pensare, oltre che a Goethe, al Leopardi delle Operette morali) e dell'orchestra sinfonica.
Poi il melodramma vero e proprio, ma tradotto in sinfonia, senza più parole, senza essere suite né sunto, ma estratto, distillato del brulicare ansioso, malato e demoniaco dell'originale ispiratore. È la Terza Sinfonia di Prokof'ev, che, sfumate le speranze di veder rappresentato il suo capolavoro L'angelo di fuoco ( Огненный ангел — Ognenny angel, il cui debutto sarà, infatti, postumo, solo nel 1955), ne trasfuse lo spirito e molte cellule tematiche nella partitura del 1928. La radice è dunque letteraria, il romanzo di Brjusov, ma per scandagliare l'animo imperscrutabile e profondo di Renata e i fantasmi, reali o immaginari, che lo popolano le parole non sono più indispensabili, l'opera (forse la più ambigua e terrificante dell'intero repertorio) e la sinfonia si guardano allo specchio da pari a pari, scambiandosi suggestioni e allusioni.
Sul podio per tanto, profondissimo programma troviamo uno specialista del XX secolo come Alejo Perez, che tuttavia sembra, nel suo stile d'interprete, guardare più al tardo romanticismo, puntare all'effetto sonoro di un insieme compatto e vigoroso. Una visione un po' troppo muscolare, accompagnata da un gesto ampio e danzante ai limiti dell'enfasi, che è parsa non del tutto congeniale alla scrittura di Denisov, che più di turgori slavi richiederebbe un tratto lucido e analitico che delinei ogni minima sfumatura. Anche per Rachmaninov avremmo preferito una maggiore varietà dinamica, una tensione del crescendo che mettesse maggiormente in risalto quello che sarebbe il principale pregio (vorremmo dire l'unico) della partitura: l'atmosfera evocata nella descrizione del dipinto.
Molto meglio Brahms, che non avrà goduto di una lettura ricercata e sottile come pure la raffinatezza della scrittura suggerirebbe, ma emergeva comunque in tutta la sua terribile bellezza. Anche il fascino perturbante della Terza di Prokof'ev è di per sé un valore capace di vincere ogni limite esecutivo (e quella di Perez non è certo una cattiva direzione, solo meno analitica e meno sfumata di quanto si potrebbe auspicare), tuttavia un maggior gioco di tensioni e contrasti avrebbe certo giovato all'effetto complessivo della Sinfonia e all'esito finale della serata, che è comunque stata salutata con convinzione da un pubblico soddisfatto e ci ha permesso, ancora una volta, di assaporare non solo dei brani ben selezionati, ma anche accostati con stimolante intelligenza.