L'eterno effimero

di Roberta Pedrotti

Al Teatro Valli di Reggio Emilia una serata tutta dedicata all'Händel strumentale e in particolare alla sua produzione d'occasione: la Water Music, per la festa notturna galleggiante di Re Giorgio I il 17 luglio del 1717 e la Royal Fireworks Music, per uno spettacolo pirotecnico del 27 aprile 1749. Un programma che invita a riflettere su composizione, esecuzione e fruizione dell'arte in rapporto al contesto (originale, reinventato o rinnovato). Assai bravi gli strumentisti dell'Orchestra Barocca Zefiro, anche se l'insieme non è sempre risultato cristallino per nettezza e gioco coloristico.

REGGIO EMILIA, 19/02/2014 - Musica d'occasione, nata per consumarsi in un solo tempo e in un solo luogo per dissolversi, o, al massimo, rigenerarsi per una nuova, spesso non meno effimera, esistenza. Ci prenderebbero forse per pazzi, gli uomini dell'età barocca, vedendoci riproporre in incisioni e concerti le sinfonie delle loro feste e delle loro celebrazioni, oppure sorriderebbero in un misto di compiacimento e commiserazione al nostro goffo tentativo di emulare la loro maestria nel tropo, nel travestimento, nella citazione e nella variazione. E noi, la musica di Händel per i fuochi d'artificio o per un party galleggiante sulle acque del Tamigi che animavano la corte londinese di Giorgio I, la riascoltiamo come tale, ma in un teatro o in un auditorium, pensando alla destinazione originale senza riviverla e senza reinventarla radicalmente. Sì, effettivamente potremmo essere tutti dei folli, lì seduti e concentrati per la musica di quella e di quell'unica sera, il sottofondo di danze, banchetti, conversazioni, facezie e spettacoli, ma siamo felicemente folli, perché in quelle composizioni di puro intrattenimento possiamo ritrovare non solo l'eco di un tempo e di un mondo, ma anche splendori d'invenzione compositiva, di grazie e arditezze timbriche e ritmiche, un altro tassello della nostra storia di arte, pensiero, di vita. Ed è impossibile comprendere appieno Händel senza considerare il suo aspetto mondano, il suo rapporto con la società con la quale si rapportava, per la quale scriveva, in cui viveva. La traduzione nei tempi e nei modi della fruizione musicale odierna non può che essere un tradimento, perfino in un'esecuzione storicamente informata, ma il tradimento stesso, se effettuato “con garbo e a tempo”, può essere coerente e rivelatore della multiforme natura dell'opera d'arte al di là della sua contestualizzazione (e lettura) originaria. È in fondo lo stato naturale stesso dell'opera d'arte viva e riprodotta in modo non meccanico (tradimento, quest'ultimo, di tutt'altro genere). Sappiamo come quando e perché quella musica è stata concepita, ma pure, in virtù della sua leggiadra e disimpegnata bellezza, seguitiamo a eseguirla e ascoltarla, felicemente coscienti di quello stesso absurdum che ha reso ormai di repertorio il festeggiamento rossiniano per l'incoronazione di un sovrano destinato a essere cacciato dopo appena sei anni di regno (e la partitura rigorosamente ritirata e in gran parte riciclata per tutt'altri fini già all'indomani della consacrazione sul trono). Eccoci dunque a Reggio Emilia, per l'abbinata popolarissima di nome, ma di fatto piuttosto rara nell'esecuzione congiunta dal vivo, fra la Water Music e la Music for the Royal Fireworks, rimpolpata dal Concerto Grosso composto sempre da Händel come intermezzo del suo Alexander's Feast, opera allegorica che celebra il potere della musica, declinata secondo stili e stati d'animo diversi, e quindi assai indicata come cesura e sigillo a un programma che sembra inneggiare all'eternità dell'effimero, all'eterno mascheramento e rinnovamento di composizioni legate a un determinato, isolato evento.

Ensemble che per natura nasce più come consesso di solisti altamente specializzati e, anche nella formazione più ampia, sembra mantenere la vocazione e lo spirito cameristico, l'Orchestra Barocca Zefiro conta per l'occasione un bel gruppo di ottimi strumentisti: Gabriele Cassone, Jonathan Pia e Matteo Frigè (trombe), Riccardo Balbinutti (timpani), Dileno Baldin, Francesco Meucci, Gabriele Rocchetti (corni), Alfredo Bernardini, Paolo Grazzi (oboi), Emiliano Ridolfi (oboe e flauti), Alberto Grazzi (fagotto), Maurizio Barigione (controfagotto), Nicholas Robinson, Alfia Bakieva, Ulrike Fisher, Claudia Combs (violini primi), Ayako Matsunaga, Elisa Bestetti, Lathika Vithange, Isotta Grazzi (violini secondi), Gianni De Rosa, Teresa Ceccato (viole), Gaetano Nasillo, Sara Bennici (violoncelli), Paolo Zuccheri, Riccardo Coelati (contrabbassi), Luca Guglielmi (clavicembalo) e Pietro Prosser (tiorba). Purtroppo si sa che l'intonazione impeccabile non sembra esser di questo mondo nei corni e nelle trombe di meccanica moderna, men che meno in quelli naturali d'età barocca. Il suono è però sempre assai suggestivo e i solisti hanno confermato la loro fama con una prova di alto livello, musicalmente consapevole e accurata. Se un limite, di fronte alla buona prova di tutti i singoli strumentisti, si può rilevare, questo consiste nella difficoltà tecnica oggettiva di gestire un gruppo di quasi trenta musicisti, quindi a tutti gli effetti un'orchestra, non è – come storicamente sarebbe più facile aspettarsi – il cembalista o il primo violino, ma Alfredo Bernardini, il primo oboe. Bravissimo, certamente, e musicista di valore, ma non sempre efficace, anche per la posizione più defilata, nell'imporre la nettezza assoluta dell'esecuzione o il gioco lieve e gioioso dei colori e dei ritmi. Complice anche l'appeal stralunato e un po' fuori dal tempo che spesso contraddistingue l'amabile follia dei gruppi barocchi, la serata è certamente piacevole, seppur non memorabile. Due bis confermano la bravura e lo spirito dei musicisti: la Canarie conclusiva (Die lustigen Boots Leute, che ci pare quasi un coro dei marinai del Fliegende Holländer ante litteram) dalla Suite Wassermusik di Telemann, omologa tedesca della musica acquatica londinese haendeliana, e, ancora, La Réjouisance dalla suite pirotecnica del Caro Sassone. Un perfetto gran finale.